«Non è sufficiente una mobilitazione per poter parlare di successo della visita. Il successo dipende anzitutto dalla nostra attitudine di accoglienza di ciò che il Papa ci dirà riguardo i temi trattati dal Sinodo sul Medio Oriente e per confermarci nella nostra missione». Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batroun, parla di successo già assicurato «visto che il Papa viene nonostante le circostanze sfavorevoli nella regione».
Quando il Sinodo si è tenuto non era cominciata la Primavera araba...È cambiato il contesto regionale, ma la missione dei cristiani è sempre la stessa: testimoniare l’amore, l’apertura all’altro, il rispetto della diversità e del pluralismo. E questo è oggi più urgente che mai. Se vogliamo assistere a una vera Primavera araba dobbiamo garantire a tutti la libertà di opinione, di espressione e di coscienza. E assicurare ai cristiani, quali cittadini autoctoni e autentici, pari diritti e doveri.
Non le sembra troppo chiedere ai cristiani di pensare a una «missione» quando sono preoccupati per la loro sopravvivenza?Noi cristiani non abbiamo paura, né per la nostra presenza né per il nostro ruolo. La presenza non dipende dal numero, bensì dalla qualità della nostra testimonianza. Il Papa ci richiamerà al titolo del Sinodo, «Comunione e testimonianza». Comunione di veduta tra tutti i cristiani attraverso un rinnovato impegno ecumenico, testimonianza davanti ai non cristiani. Per questo serve un attaccamento alla fede, un attaccamento alla terra, che è una terra benedetta, e un attaccamento ai nostri valori.
Cosa significa per lei l’aver scelto il Libano per mandare un messaggio ai cristiani di tutta la regione?Se il Papa ha scelto il Libano è perché il Libano offre un esempio. Ne sono consci anche i nostri connazionali musulmani. Nei loro discorsi, i leader musulmani riprendono molti degli slogan lanciati da Giovanni Paolo II nel corso della sua memorabile visita: il Libano messaggio, il Libano modello di convivenza, il Libano del pluralismo e del rispetto della diversità religiosa e culturale. Ciò significa che loro aspettano che il Papa torni ad affermare il ruolo dei cristiani. Ma c’è un’altra scelta significativa.
Quale?Quella di arrivare il 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Santa Croce che i cristiani orientali celebrano con grande solennità perché rappresenta la vittoria della Croce, che è insieme amore e perdono, sulla morte.
Festa della Croce, perdono... Queste parole la toccano da vicino... Sì, è l’anniversario dell’assassinio dei miei genitori nel lontano 1958. Mia zia suora, che aveva preso in custodia me e i mei piccoli fratelli, ci esortava a pregare non tanto per i nostri genitori, accolti dal Padre nel suo Regno, bensì per il loro assassino. Quando ho raccontato questa mia esperienza davanti ai profughi sciiti accolti nella mia diocesi molti hanno capito il valore cristiano del perdono.
Profughi sciiti a Batroun? Quando mai?È successo durante la guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah. Abbiamo accolto per un mese decine di famiglie di Touline, nel Sud. Da questa accoglienza gratuita è nata una solida amicizia tra le nostre comunità. Quando mi sono recato con i miei fedeli a trovarli, siamo stati festosamente accolti dagli «scout musulmani» che portavano in mano una croce. Molte famiglie sciite mi hanno addirittura chiesto di benedire le loro case ricostruite dopo i bombardamenti.