Con una mossa che ricorda i tempi del maoismo, la Cina ha deciso di varare una serie di ordinazioni episcopali senza il mandato del pontefice, frenando quelle volute da Benedetto XVI. L’ultima ordinazione illecita in ordine di tempo è quella di Leshan (Sichuan), avvenuta il 29 giugno e condannata ieri dalla Santa Sede. Nello stesso giorno doveva avvenire un’ordinazione episcopale ad Handan, approvata dal Papa. Questa è stata invece cancellata: il candidato vescovo è stato rapito dalla polizia e tuttora si trova segregato; in più, due giorni fa, sempre dalla polizia, sono stati rapiti due sacerdoti, il cancelliere della diocesi e un membro del consiglio presbiterale. Ufficialmente, l’ordinazione ad Handan è stata cancellata perché «troppo vicina alla data del 90° anniversario del Partito comunista cinese». Quella di Leshan, nello stesso giorno, non ha suscitato problemi. Un’altra ordinazione senza mandato papale era prevista ad Hankow (Hubei) per il 9 giugno. All’ultimo momento, pochi giorni prima, è stata cancellata grazie alle pressioni e le critiche dei fedeli, che non volevano un vescovo scismatico. Altre ordinazioni sono programmate a Shantou (Guangdong); Heze (Shandong); Xichang (Sichuan). Un’altra era programmata a Chengdu (Sichuan), ma lo scorso 19 giugno il candidato approvato dall’Associazione patriottica (ma non dal papa) è morto di cancro. La risposta della Santa Sede, dura e precisa, si spiega col fatto che già mesi fa, il presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, il patriottico Ma Yinglin, aveva dichiarato che era urgente ordinare molti vescovi perché in Cina ci sono ancora 40 sedi vacanti o con pastori molto anziani. Di recente, anche il presidente onorario dell’Associazione patriottica (Ap), Antonio Liu Bainian, aveva consigliato al Vaticano di non interferire «nel lavoro dei vescovi autoeletti e autoordinati (ossia senza mandato papale, ndr ) e che riconosca e sostenga i vescovi eletti nel loro lavoro di evangelizzazione». Liu Bainian ha detto che il metodo della «autoelezione » e «autoordinazione», è il metodo «voluto dalla Chiesa in Cina». In realtà, proprio questo metodo mostra le sue pecche. Anzitutto perché esso, definito «democratico» dall’Ap, è in realtà sottoposto alle pressioni dall’esterno. Molte elezioni avvengono costringendo il comitato a votare per il vescovo prescelto dal Partito. In tal modo, invece di far emergere candidati animati da spirito cristiano, desiderosi di evangelizzare, l’Ap spinge il più delle volte a pescare candidati deboli, facilmente corrompibili, assetati di potere, desiderosi di benessere, più che di sacrificio per il gregge. Il Papa, ricordando tempo fa la Giornata mondiale di preghiera per la Cina ha detto che occorre pregare per i vescovi di quel Paese «che soffrono », perché «il loro desiderio di stare nella Chiesa una e universale superi la tentazione di un cammino indipendente da Pietro» e per «rafforzare quanti sono irretiti dalle lusinghe dell’opportunismo». Il motivo di questa raffica di ordinazioni illecite è semplice: tentare di distruggere la Chiesa con le sue stesse mani, dividendola e aizzando una parte contro l’altra. Tale progetto data dalla pubblicazione della Lettera di Benedetto XVI, rivolta a tutti i cattolici, ufficiali e sotterranei, in cui il pontefice esortava all’unità e a difendere gli spazi essenziali per la libertà religiosa. Proprio perché la ritessitura dell’unità procedeva bene, l’Ap ha lanciato la sua campagna per far crescere il numero di vescovi “indipendenti” dal Papa, ma totalmente succubi al Partito. Una simile mossa non avviene senza l’approvazione dall’alto. Del resto un pezzo grosso del partito una volta mi ha detto: «Di voi cattolici, noi cinesi temiamo soprattutto la vostra unità».