Chiesa

Il libro. Il senso cattolico e funzionale del celibato dei sacerdoti

Fulvio De Giorgi venerdì 31 gennaio 2020

È in libreria da ieri anche in italiano il volume «Dal profondo del nostro cuore», il testo sul celibato sacerdotale del cardinale Robert Sarah (prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti) da cui Benedetto XVI ha deciso di ritirare la firma dopo essere stato indicato nella prima edizione francese come coautore. Raccogliendo la richiesta di Ratzinger l’edizione italiana (144 pagine; 18 euro) pubblicata da Cantagalli indica in copertina come autore Sarah aggiungendo la precisazione: «“con” Joseph Ratzinger Benedetto XVI». Nello specifico il libro prevede una Nota del curatore Nicolas Diat, un saggio inedito di Benedetto XVI; un saggio inedito di Sarah; un’introduzione e una conclusione. Queste ultime due parti sono state scritte dal cardinale prefetto, ma lette e condivise da Benedetto XVI. In una nota, nei giorni scorsi, la casa editrice Cantagalli ha detto di aver all’inizio «volutamente mantenuto il silenzio per non alimentare inutili e sterili polemiche» e che l’annuncio dell’uscita del volume è stato dato solo «quando le nubi sembravano allontanarsi».

Lo scritto di Joseph Ratzinger “Il sacerdozio cattolico”, che è stato pubblicato all’interno del volume Dal profondo del nostro cuore del cardinal Sarah e che ha suscitato un ampio scalpore, è una riflessione teologica che non ha ovviamente lo status di magistero pontificio (a voler essere pignoli, il teologo Ratzinger cita, all’interno del suo testo, un breve brano, questo sì di portata magisteriale, dell’allora papa Benedetto XVI). In altre parole, Joseph Ratzinger ha ripreso a tarda età la penna del teologo – cioè, ricordiamolo, di uno dei più grandi teologi cattolici del Novecento – per darci una sintetica, ma interessante riflessione sul sacerdozio ministeriale, con passaggi molto belli sull’ascetica del presbitero e con una calda curvatura autobiografica. Lo scritto non riguarda essenzialmente la questione del “celibato”, ma tale questione viene riportata – appunto – nell’ambito dei caratteri generali del sacerdozio ministeriale.

Un passaggio originale e nuovo si ha nell’affermazione: «Visto che i sacerdoti veterotestamentari dovevano dedicarsi al culto solo in determinati momenti, matrimonio e sacerdozio risultavano senz’altro tra loro conciliabili. A causa della celebrazione eucaristica regolare, o in molti casi giornaliera, per i sacerdoti della Chiesa di Gesù Cristo la situazione era radicalmente cambiata. Tutta la loro vita è in contatto con il mistero divino ed esige così un’esclusività per Dio la quale esclude un altro legame accanto a sé, come il matrimonio, che abbraccia l’intera vita. Sulla base della celebrazione giornaliera del-l’Eucaristia, e sulla base del servizio a Dio che essa includeva, scaturì da sé l’impossibilità di un legame matrimoniale.

Si potrebbe dire che l’astinenza funzionale si era trasformata da sé in un’astinenza ontologica. In questo modo la sua motivazione e il suo senso erano mutati dall’interno e in profondità». Si noti la cautela di Ratzinger (usa il condizionale: «Si potrebbe dire», che toglie all’affermazione il carattere perentoriamente apodittico e le conferisce un tono congetturale) per un giudizio che riguarda una «trasformazione da sé» tutta da approfondire e verificare, sul piano storico e teorico.

Il senso, comunque, a me pare: l’astinenza è funzionale, ma – nell’ambito di un sacerdozio ontologicamente diverso – mutano dall’interno e in profondità la sua motivazione e il suo senso. Da qui il grande onore e l’importanza che ha il celibato (funzionale) all’interno della storia del sacerdozio ministeriale cattolico (come aveva sostenuto, in modo più organico e profondo, Paolo VI nella Sacerdotalis coelibatus). Ratzinger vuole indicare il tipo di continuità/novità tra il sacerdozio del Primo Testamento (che non aveva il celibato, ma momenti di astensione sessuale legati al culto) e il sacerdozio ministeriale inaugurato dalla Nuova Alleanza.

Più precisamente – mi pare – vuole riprendere una questione dibattuta nel post-Concilio e fino agli anni ’70 del Novecento da molti teologi (ricordo solo R.J. Bunnik, P. Schoonenberg, I. Moingt, I. Flamand, E. Schillebeeckx, J. Giblet, P. Grelot, G. Philips, P. Fransen) e che riguardava il valore e il senso del “carattere” che il sacramento dell’ordine imprime. Vi era chi sosteneva la natura “funzionale” del carattere (così che si è sacerdote ministeriale finché si esercita la relativa funzione sacerdotale). Ratzinger sembrerebbe schierarsi con coloro che sostenevano la natura “ontologica” del carattere: ricevuto il sacramento si è presbiteri per sempre.

Ciò voleva e vuole dire, per esempio, che i preti che chiedevano e ricevevano la dispensa per sposarsi con il sacramento del matrimonio, rimanevano comunque preti. Di conseguenza vi erano e vi sono preti latini sposati, anche se non possono esercitare il loro ministero. Altra conseguenza: il celibato ecclesiastico ha un carattere, esso sì, funzionale e connesso alla disciplina dell’esercizio del ministero: puoi sposarti, rimani “ontologicamente” prete, ma senza celibato non puoi esercitare il ministero (se il celibato fosse ontologicamente e necessariamente legato all’ordine, caduto esso cadrebbe anche l’ordine: simul stabunt aut simul cadent). La natura ontologica del carattere del sacerdozio sacramentale è ciò che sta a cuore al teologo Ratzinger, il quale dunque non nega la natura non ontologica del celibato.

Del resto se il celibato avesse natura ontologica dovrebbe essere stato necessariamente presente sempre e dovunque nella storia della Chiesa (a meno di sostenere la mancanza di Spirito Santo e di “vero” sacerdozio ministeriale in alcuni momenti della medesima storia o nelle Chiese non latine). E del resto se Ratzinger sostenesse tale tesi dovrebbe anche affermare che sbagliano sia il Concilio Vaticano II sia lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1579) promulgato da san Giovanni Paolo II, che invece dicono il contrario, e che sbaglia altresì la legislazione canonica a consentire al Papa di dispensare dall’obbligo del celibato (Codice di Diritto canonico, can. 291). E che ha sbagliato l’allora papa Benedetto XVI nell’ammettere nella Chiesa cattolica presbiteri anglicani senza imporre loro il celibato (Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, VI, § 1 e 2).

E che sono santi “sbagliati” san Gregorio di Nissa, in Oriente, e san Paolino di Nola, in Occidente: sposati eppure preti e vescovi. Ma Ratzinger, ovviamente, non sostiene questo. Si tratta peraltro, come dicevo, di una specifica riflessione su caratteristiche generali del sacerdozio ministeriale. Non si tratta di uno studio complessivo sul sacerdozio (tanto di quello comune, di tutti i battezzati, quanto di quello ministeriale e dei loro reciproci rapporti). Ratzinger non affronta qui il sacerdozio comune: ma dal fatto che non ne parli non si può assurdamente sostenere che lo neghi.

Del resto il sacerdozio ordinato ha sia aspetti comuni al sacerdozio di tutti i battezzati sia aspetti diversi per grado e per essenza. Così alcuni dei passaggi più belli in questo scritto di Ratzinger riguardano aspetti del sacerdozio ministeriale che sono anche presenti nel sacerdozio comune dei fedeli (penso, per esempio, al commento del versetto del Salmo 16: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita» e «alla necessità della continua dimestichezza con la parola di Dio»). Di diverso spessore e di diversa solidità teologica è il più ampio scritto del cardinal Sarah, che pure ha passaggi interessanti (mi ha sorpreso e mi ha consolato leggere che in Africa il celibato ecclesiastico non è un problema).

Non entro nell’analisi delle sue tesi. Segnalo però un lapsus che mi pare piuttosto grave, laddove – dopo aver parlato di « Papa emerito » – il porporato, abbandonando tale dizione, scrive riferendosi all’attuale riflessione di Ratzinger: « Papa Benedetto XVI dimostra che il celibato sacerdotale non è un auspicabile “supplemento spirituale” nella vita del prete. Una vita sacerdotale coerente richiede ontologicamente il celibato. […] Credo che mai un Papa abbia espresso con una tale forza la necessità del celibato sacerdotale ».

Ma Joseph Ratzinger non è più Papa: cioè, semplicemente, non solo non è il Papa, ma non è Papa, non esercita il ministero petrino. Al di là dell’interpretazione del testo di Ratzinger (che è diversa dalla mia) è stupefacente che Sarah consideri tale testo come magistero pontificio: sostenendo, di conseguenza, la bislacca e rivoluzionaria tesi di una trasformazione diarchica e consolare del ministero petrino. Una vera sovversione radicale e inedita della struttura tradizionale della Chiesa cattolica.