Nell’atrio dell’aula che ospita in questi giorni i lavori dei padri sinodali sono stati esposti in una teca alcuni autografi di Paolo VI. Si tratta in particolare delle pagine manoscritte della
Sollecitudo apostolica, la lettera
Motu Propriu con la quale Papa Montini, giusto cinquant’anni fa, istituiva il Sinodo dei vescovi per la Chiesa universale. Sono parole che meritano di essere rilette adesso perché aiutano a capire il senso di quanto in quest’aula è andato fin qui qui maturando. L’incipit della lettera suona così: «La sollecitudine apostolica, con la quale, scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi del sacro apostolato alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società, ci induce a rafforzare con più stretti vincoli la nostra unione con i vescovi che lo Spirito Santo ha costituito... per governare la Chiesa di Dio (
At 20,28). A ciò siamo mossi non solo dal rispetto, dalla stima e dalla riconoscenza, con cui a buon diritto circondiamo tutti i venerabili fratelli nell'episcopato, ma anche dal condurre il popolo di Dio ai pascoli eterni. Infatti, in questa nostra età, veramente turbinosa, ma tanto largamente aperta ai soffi salutari della grazia divina, esperimentiamo ogni giorno quanto giovi al nostro dovere apostolico una tale unione con i sacri pastori, che perciò noi intendiamo in ogni modo promuovere e favorire». Paolo VI si richiamava qui esplicitamente al Discorso di chiusura del terzo periodo del Concilio e sono parole che risuonano ora più attuali che mai nel loro spirito originario e potrebbero davvero scorrere come didascalia in fondo alle giornate di questa prima settimana sinodale conclusasi ieri con la “Relazione dopo la discussione” perché riflettono bene l’andamento e la dinamica che si è ricreata in questa assemblea. Ed è proprio questa dinamica, questo rinato modo di procedere, la novità più importante a cui abbiamo assistito e a fare la differenza. Certamente la presenza e l’invito non formale del Papa a parlare chiaro, con coraggio anche criticando o manifestando pareri diversi, la richiesta e la sollecitudine alla franchezza negli interventi hanno contribuito a creare l’atmosfera sinodale inedita, che si distanzia dai sinodi degli ultimi tempi. Quanti padri sinodali hanno voluto sottolineare che «c’è stato un dibattito veramente pieno e aperto nello spirito del Concilio»? E quanti di loro hanno liberamente parlato anche delle proprie esperienze personali? Quanti hanno affermato che «si è veramente avvertito il cuore dei pastori in ascolto del reale vissuto dei fedeli»? Quanti hanno affermato «che la misericordia è la dottrina della Chiesa»? Quanti infine hanno sottolineato l’insufficienza di un annuncio «meramente teorico» e scollato dalle diverse realtà in cui vivono oggi le persone e le famiglie?
La
Relatio post disceptationem (relazione dopo la discussione), frutto del lavoro di equipe e presentata ieri dal cardinale ungherese Erdò, è anzitutto espressione autentica di quanto emerso e conferma che al Sinodo non ci sono state solo parole, ma la effettiva volontà di confrontarsi veramente con la carne viva dei problemi delle famiglie nella società e nel tempo di oggi. Il lungo applauso seguito ieri alla lettura del testo in aula è stato eloquente dei sentimenti prevalenti nell’assemblea. E non allarmano ne turbano le critiche manifestate (le stesse che si conoscevano già prima del Sinodo) da pochi di padri su 191 votanti. Fanno semplicemente parte di questo processo di discernimento. Ieri pomeriggio sono entrati in funzione i Circoli minori che hanno il compito di esaminare e discutere il testo presentato. Un lavoro, questo, che impegnerà per altri due giorni i padri sinodali, e nel quale ogni circolo stabilito per ordine linguistico presenterà i cosiddetti “modi”, cioè le proposte di studio, approfondimento, modificazione, sostituzione o anche di soppressione in merito ai vari punti elencati nella
Relatio post disceptationem. Ma è chiaro che ogni apporto al presente testo (da cui scaturirà la Relazione conclusiva di questa prima tappa sinodale sulla famiglia) non ne cambierà la sua struttura fondamentale ne l’orientamento aperturista manifestato dalla stragrande maggioranza dei padri e che perciò, nella sua sostanza, rimarrà tale. Questi giorni di
work in progress, dunque, hanno mostrato già non solo un grande balzo avanti nell’approccio cosciente e pastorale alla realtà da parte dei vescovi che si sono ritrovati uniti nello spirito di collegialità secondo la genuita tradizione
cum Petro e sub Petro, ma soprattutto segnano già un punto di non ritorno indietro per la Chiesa. Per tutta la Chiesa.