Chiesa

La storia. Il primo vescovo sierraleonese di Makeni: cresciuto dai missionari italiani

Laura Caffagnini venerdì 12 luglio 2024

Il vescovo Koroma a Parma con alcuni saveriani dello studentato

«È una grande responsabilità essere il primo presbitero sierraleonese ad assumere la guida della diocesi di Makeni dopo il lungo periodo svolto dai missionari saveriani. Voglio ringraziare Dio e il Papa che ha avuto fiducia nel fatto che potessi diventare un suo vescovo. Non è per mio merito, ma è per la grazia di Dio. Lo ringrazio per le sue benedizioni e per avermi chiamato ad accompagnare il suo popolo come vescovo».

Sono le parole con le quali, in un colloquio nella Casa madre dei Missionari saveriani di Parma, monsignor Bob John Hassan Koroma descrive ad Avvenire cosa significa per lui la nomina a vescovo della sua diocesi in Sierra Leone. Con il rettore dell’Università cattolica di Makeni, il sacerdote Joseph Alimamy Turay, è arrivato in Italia per visitare il vescovo emerito Giorgio Biguzzi, che lo ha ordinato prete nel 1999 e che era alla sua consacrazione episcopale il 13 maggio 2023. Ha potuto parlargli e riabbracciarlo tre giorni prima della sua morte. «Ho espresso al mio predecessore e padre spirituale la vicinanza filiale, l’amore e la gratitudine a nome dell’intera diocesi di Makeni per il suo amore disinteressato e il suo devoto servizio in tutti questi anni. La sua scomparsa è stata per me come la perdita di un genitore. Lo ricordo come un rimarchevole pastore che, come Cristo, ha offerto la sua vita per le sue pecore».

Per Koroma essere stato chiamato a servire la Chiesa come vescovo è un dono ma, aggiunge, «è anche una grande responsabilità, soprattutto pensando a che cosa comporta questo ruolo oggi e in questa era della Chiesa nella quale papa Francesco sta invitando tutti allo spirito di sinodalità – nota il presule –. È una grande responsabilità raccogliere l’eredità dei saveriani. Desidero ringraziarli per avere piantato il seme della fede dal 1950 nel nostro territorio. Ricordo i pionieri, tutti italiani: i vescovi Augusto Azzolini e Luigi Calza, padre Camillo Olivani e padre Attilio Stefani. Oggi quella fede è cresciuta».

Il neo vescovo legge la presenza di una leadership locale come un segno di maturità e ritiene necessario continuare a seguire i passi compiuti dai fondatori.

Il suo nome composito suggerisce le origini culturali e religiose. «Sono nato a Makeni, città situata nella Provincia nord della Sierra Leone, che è in prevalenza di religione islamica. Anche i miei genitori sono musulmani. All’età di tre anni ho perso mio padre, e mia madre, che era molto giovane, era completamente disorientata. Fui allevato dalla zia paterna, che è cattolica, e attraverso i missionari saveriani, che hanno edificato delle scuole, ho ricevuto in dono la fede. Ho imparato il catechismo e infine sono stato battezzato da padre Franco Manganello. Ho poi ricevuto la Cresima dal vescovo Azzolini e sono stato ordinato presbitero dal vescovo Biguzzi. Posso dire che tutta la mia vita è stata influenzata dai missionari saveriani».

Nel segno della continuità, inizia una nuova epoca. «Quella sierroleonese è una Chiesa giovane, con preti e vescovi di prima generazione, in particolare a Makeni. Abbiamo segni di crescita con la nascita di vocazioni al presbiterato, alla vita religiosa e laicali. Nel Seminario, che raduna giovani della Sierra Leone e del Gambia, abbiamo 57 studenti, 20 dei quali sono di Makeni».

Una caratteristica della Sierra Leone, testimoniata anche dai saveriani, che oggi sono una ventina distribuiti in otto comunità, è un fiorente dialogo interreligioso. Koroma lo conferma: «Le relazioni del cristianesimo con le altre religioni è meravigliosa: c’è una pacifica coesistenza e un mutuo rispetto, anche se noi cristiani siamo una minoranza. Oltre a dedicarsi all’evangelizzazione e all’amministrazione dei sacramenti, la Chiesa cattolica promuove lo sviluppo umano attraverso scuole e ospedali. Molti musulmani frequentano gli istituti cattolici perché sono apprezzati per la disciplina e i valori che guidano l’insegnamento».

Le famiglie sono laboratori interreligiosi: «In Sierra Leone accade frequentemente che in un nucleo la moglie sia cristiana e il marito musulmano. Questa è bello. Ci sono incontri interreligiosi che iniziano con una preghiera cristiana e una musulmana. Come Chiesa offriamo servizi a tutti. Nelle scuole e nelle Caritas impieghiamo anche persone musulmane, basta che siano competenti e abbiano i requisiti necessari».

La guerra civile in Sierra Leone, durata dal 1991 al 2002, non aveva niente a che fare con motivi religiosi: è stato un conflitto politico ed economico, continua il vescovo. L’anno scorso si sono svolte le elezioni politiche. «È emersa insoddisfazione sulle procedure adottate. Questo ha creato tensioni. Ma la popolazione sierraleonese è resiliente. Abbiamo sofferto la guerra per undici anni e non l’abbiamo ancora dimenticata, perciò cerchiamo di affrontare le situazioni amichevolmente, con ragionevolezza e non con la canna del fucile. Non vogliamo che si ripetano le violenze del passato».

Nella Sierra Leone c’è un Consiglio interreligioso nazionale del quale fa parte la Chiesa cattolica. «Cerchiamo di vedere come poter affrontare i problemi. Naturalmente ci sono difficoltà anche da noi per la crisi economica globale. Abbiamo di fronte grandi sfide per l’alto costo della vita; il costo del petrolio è aumentato e così tutto diventa più costoso. La gente sta soffrendo. Ma stiamo cercando di vincere le sfide, e preghiamo e speriamo che prima o poi, anche con l’apporto della comunità cristiana e con l’accordo tra i leader il Paese possa costruire il proprio futuro».