L'11 aprile 1997. Il pompiere: «Così ho salvato la Sindone dalle fiamme»
Vent'anni fa l'incendio del Duomo di Torino
Ci sono eventi che ti cambiano la vita, incontri capaci di stravolgere le tue certezze, situazioni dopo le quali niente sarà più come prima. Per Mario Trematore il momento che ha “trasformato” tutto, ha una data ben precisa: 11 aprile 1997. O meglio la notte tra l’11 e il 12 aprile. Quella sera di vent’anni fa, Mario, vigile del fuoco, non era in servizio. Dal balcone di casa però era impossibile non vedere l’altissima colonna di fumo che scuriva il cielo di Torino. «A dire il vero la prima ad accorgersene è stata mia moglie Rita. Io allora telefono in caserma. “Brucia il Duomo”, mi dicono». Pur non avendo obblighi, Trematore decide di andare ad aiutare i compagni. Si mette addosso una vecchia giacca da montagna e corre sul posto. Lo spettacolo è impressionante. «Di incendi ne avevo visti tanti ma uno così, mai. Dentro la chiesa il fuoco consumava e faceva crollare tutto».
Il pompiere che ha salvato la Sindone
È a questo punto che succede qualcosa di speciale, «era come se ci fosse qualcuno a guidarmi», racconta. Solo così si può spiegare la follia di cercare di salvare la Sindone, di evitare che venisse coinvolta nel disastro, colpendo con una mazza da cinque chili la teca indistruttibile, antiproiettile, “anti tutto”, che la proteggeva. E invece il vetro, sotto i colpi di Mario e dei colleghi, si sbriciola, cade. Com’è potuto accadere?. «Non c’è una spiegazione logica. Di fronte al mistero, la ragione, la scienza umana, si arrendono. Sentivo di avere una forza che non era umana. Senza quella non ce l’avrei mai fatta ». È in quel momento che per Trematore cambia tutto.
Un eroe contestato
Lui, l’eroe del giorno, “il pompiere che ha salvato la Sindone”, viene intervistato, racconta mille volte la sua storia, la gente lo riconosce per strada. E non sono sempre incontri piacevoli. Tanti i complimenti e i ringraziamenti, ma anche gli insulti. «Mi hanno sputato in faccia, un’altra volta mi hanno tirato due calci mentre portavo a spasso la mia cagnetta. E c’è chi mi ha offeso: “Lei è stato un cretino, doveva lasciarla bruciare quella roba lì”». Difficile, o forse no, capire quel tipo di reazione. «Le invidie, le gelosie fanno parte della vita, si superano. Semmai ho imparato che parlare di Gesù, dirsi cristiano è più pericoloso che definirsi mafiosi. D’altronde i cristiani che ogni anno vengono uccisi rubano, ammazzano? No, semplicemente credono in Gesù». Una fede che in Trematore, oggi 64enne, ha avuto un impulso decisivo dall’incontro con la Sindone. «Non è vero com’è stato detto che fossi ateo, ho avuto una formazione cattolica, sono sempre stato appassionato di testi sacri, subisco il fascino del mistero. Ero in ricerca». Un itinerario che quel giorno ha trovato risposte, avviando un cammino “nuovo” che prosegue tuttora. Trematore ha infatti fondato due gruppi a Torino e Bari, non a caso chiamati Mandylion termine che in greco antico significa “il telo”. «Ci incontriamo una volta al mese, l’ultimo tema che abbiamo toccato è la preghiera come atto semantico, perché non la puoi leggere come si fa con una poesia. Ma in passato ci siamo confrontati su figure come Guareschi o sullo stesso Umberto Eco che pur essendo laicissimo ha continui rimandi, si pensi all’inizio de Il nome della rosa, alla Bibbia. A Torino siamo seguiti da una padre barnabita, Emiliano Redaelli e alla fine dell’incontro ci fermiamo a mangiare insieme le cose che ciascuno ha portato da casa, condividendo la mensa come ha fatto Gesù». La fede dunque come linea di continuità tra l’oggi e quel fatidico 11 aprile 1997.
Oggi fa l'architetto
Vent’anni dopo Trematore, sposato e padre di due figli, non è più vigile del fuoco, nel 2003 ha infatti aperto uno studio di architetto, suggello alla laurea e all’amore, che è di sempre, per l’arte, per il bello, soprattutto per il barocco, «lo stile di Dio», spiega. Ma se gli chiedi cos’è oggi per lui la Sindone, la risposta rimanda alla forza, «non mia» che sentì quella notte, un richiamo alla fede di milioni di cristiani nel mondo, che cresce, che si moltiplica con la carità. Nella vita di tutti i giorni. «Noi per primi – ha scritto Trematore qualche giorno fa commentando il Vangelo della risurrezione di Lazzaro –, dobbiamo amare, custodire, difendere, essere gelosi della nostra esistenza perché noi crediamo non a un Dio dei morti ma dei vivi che infonde nella nostra anima il suo spirito vitale per aiutarci a continuare a sperare».