Si è parlato di Medio Oriente, di Siria e di Libano. Di libertà religiosa e delle violenze contro i cristiani. Di difesa della pace e della vita. Di immigrazione e di obiezione di coscienza. Un’agenda fitta, quella che ha riempito i cinquanta minuti di colloquio faccia a faccia tra il Papa e il presidente degli Stati Uniti, accolto dal «welcome», benvenuto, di Francesco, e che Barak Obama quasi spiazza con quel «grazie, è meraviglioso incontrarla» che tanto si scosta da ogni protocollo.
Del resto, questo in Vaticano è un passaggio importante, quasi cruciale, per il leader della prima superpotenza. Che nei quarantaquattro ettari dello Stato più piccolo del mondo cerca, attraverso lo straordinario favore di cui Francesco gode oltreoceano, una sponda alle sue impopolari politiche sociali, e il voto cattolico in vista delle elezioni di mezzo termine che proprio quelle politiche hanno messo a rischio. «Sua Santità – dirà poi il presidente incontrando in serata i giornalisti – è stato chiaro sulla sua visione: io su alcune cose sono d’accordo, su altre parzialmente d’accordo». E, appunto, l’enfasi nelle sue dichiarazioni, come vedremo, è stata tutte sulle prime, glissando sui temi “scomodi” come quello dell’obiezione di coscienza che lo vede in forte attrito con i vescovi nordamericani.
Presenti solo i due interpreti, «i cordiali colloqui – come informa il tradizionale comunicato emesso al termine dalla Sala Stampa vaticana – hanno permesso uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte». Quanto poi al «contesto delle relazioni bilaterali e della collaborazione tra la Chiesa e lo Stato», la stessa nota sottolinea che «ci si è soffermati su questioni di speciale rilevanza per la Chiesa nel Paese, come l’esercizio dei diritti alla libertà religiosa, alla vita e all’obiezione di coscienza nonché il tema della riforma migratoria. Infine, è stato espresso il comune impegno nello sradicamento della tratta degli esseri umani nel mondo».
Obama era arrivato in Vaticano intorno alle 10.15, ossia mezz’ora prima dell’orario ufficialmente annunciato – ma non in anticipo, in realtà, in quanto tutti gli spostamenti a Roma del presidente Usa sono stati volutamente mantenuti “flessibili”, sia come orari che come itinerari, per evidenti ragioni di sicurezza –. Solo alcune delle cinquanta vetture del corteo sono poi salite fino al cortile di San Damaso, dove il presidente è stato accolto da monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa pontificia, e accompagnato fino alla biblioteca privata del Pontefice, dove si sarebbe poi svolto il colloquio a porte chiuse. Con Obama anche il capo della diplomazia Usa, John Kerry, che con gli altri membri del seguito è stato poi introdotto alla presenza del Pontefice al termine della visita privata, e che nel gennaio scorso aveva incontrato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. Proprio con quest’ultimo, e col “ministro degli Esteri” vaticano monsignor Dominique Mamberti, Obama ha avuto un colloquio prima di lasciare il Palazzo apostolico.
Nel pomeriggio, come accennato, c’è stata poi la conferenza stampa durante la quale Obama ha detto che «nell’incontro con il Papa c’è stata una discussione di ampio respiro. Abbiamo parlato per la maggior parte del tempo dei poveri, degli emarginati e di coloro che non hanno opportunità e della diseguaglianza che cresce». Come politici, ha osservato il presidente, «noi abbiamo il dovere di trovare una politica contro questi problemi, ma Sua Santità ha la capacità di far aprire gli occhi. Abbiamo anche parlato molto tempo delle sfide e dei conflitti e di come sia difficile mantenere pace nel mondo. Centrale nella politica Usa è proteggere le minoranze religiose. Il Papa è preoccupato dei cristiani».
Ancora, Obama ha messo l’accento sulla politica dell’immigrazione, ma soprattutto ha insistito sul fatto che «il tema che ha legato la nostra conversazione è la convinzione che nella politica e nella vita la capacità di mettersi nei panni degli altri anche se non parla come te e non ti assomiglia è fondamentale. La mancanza di empatia facilita le guerre e fa aumentare i senza tetto, ma la mia fede cristiana si basa su come trattare gli altri per come vorrei essere trattato io». E, al Papa, ha «promesso di continuare un dialogo con i vescovi».