IL PAPA IN EMILIA. Il vescovo di Carpi: «La mano di un padre al figlio»
«Quel che ci commuove è la tempestività con cui Benedetto XVI è passato dalle parole ai fatti, dal ricordo dell’Emilia sofferente a questo incontro con i suoi figli feriti dal terremoto. Non avevamo dubbi che il Papa ci fosse vicino, ma questa sua decisione di accorrere subito, nell’epicentro del disastro, per essere vicino e rincuorarci, incurante del clima torrido di questi giorni, è davvero lo slancio del padre che tende la mano al figlio che cade. E l’afferra». Con queste parole, monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, dà voce al sentimento dei carpigiani, che stamane accoglieranno il Santo Padre a Rovereto di Novi. Perchè Carpi e perché Rovereto di Novi?La nostra è la diocesi più colpita dal terremoto, che pure ha devastato un’area molto più ampia. Anche l’abbraccio con la terra carpigiana, tuttavia, è un abbraccio ampio, che coinvolge tutte le diocesi dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto ferite dal terremoto. Un abbraccio che ci rassicura: non siamo stati dimenticati. Quanto a Rovereto, quello per noi è diventato un luogo simbolo ed infatti il Papa si raccoglierà in preghiera di fronte alla chiesa in cui è morto uno dei nostri parroci, travolto dalle macerie. Il terremoto può far crollare anche la fede degli emiliani?Nelle persone adulte può provocare qualche sconquasso – di fronte a tanta devastazione alcuni mi hanno confessato che faticano a pregare – ma la reazione nei giovani è eguale e contraria: molti ragazzi che ho incontrato dopo i lutti e la paura mi hanno detto "puoi contare su di me per il futuro". Certamente un terremoto ci pone degli interrogativi.Anche a un vescovo?Anche a un vescovo. L’altro giorno mi hanno chiamato a visitare una grande fabbrica della zona. Quando la osservavo prima, passando, mi sembrava la quintessenza dell’orgoglio umano, del mito del progresso e dell’efficienza. Ora è crollata. Manager e dipendenti mi hanno raccontato la loro sorpresa e il loro dolore, che è anche il mio. Ma quest’esperienza ci insegna che se non fondiamo la nostra vita sulla roccia che è Cristo, le nostre “certezze” possono abbandonarci in ogni momento.
In queste ore gli sfollati e le imprese chiedono al governo delle certezze per avviare la ricostruzione. Le chiede anche la Chiesa?Effettivamente, per la ricostruzione delle aziende qualcosa si muove mentre per la messa in sicurezza e il restauro delle chiese si fa fatica a vedere delle scelte, per quanto ci abbiano rassicurato che "entro breve" partiranno i lavori alla cattedrale. Al momento, è stato costituito un comitato per i beni culturali, ma non si sa ancora quando potrà lavorare e con quali compiti. Errani ha stilato una lista di priorità in cui le chiese non sono al primo posto. C’è il rischio che la Chiesa resti sola a chiedere di salvarle?Sgombriamo il terreno da un equivoco. La Chiesa non tiene agli edifici religiosi solo perché vi celebriamo le Messe, ma perché ci tiene la gente. Ho incontrato migliaia di fedeli che mi hanno esortato e anche parecchi che mi hanno detto: non vado a Messa, ma quella chiesa è l’unico monumento bello del mio paese ed è stampato nei miei ricordi. Insomma, se lasciamo crollare le chiese cancelliamo i punti di riferimento socioculturali di questo popolo. E poi, avere un lavoro e la casa è fondamentale, ma senza chiese e attività pastorali si disgrega la società e si invogliano gli emiliani ad emigrare. Ricostruire le chiese è importante per chi crede, ma anche per chi non crede.