Chiesa

Le parole di Pietro. Il Papa alla diocesi di Roma: la Chiesa deve essere madre

Gianni Cardinale martedì 17 giugno 2014
«La sfida grande della Chiesa oggi è diventare madre, madre, non una Ong ben organizzata, con tanti piani pastorali; ne abbiamo bisogno, ma quello non è l’essenziale, quello è un aiuto alla maternità della Chiesa ». Se la Chiesa non è madre, «è brutto dire che diventa una zitella, ma se diventa una zitella, non è feconda ». Lo ha detto papa Francesco aprendo ieri sera il Convegno pastorale che conclude l’anno pastorale della diocesi di Roma e che ha per tema 'Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana'. Il Pontefice, parlando a braccio, ha preso la parola dopo il saluto del cardinal Vicario Agostino Vallini e i brevi interventi di don Gianpiero Palmieri, parroco di San Frumenzio e di due laici, Ada e Pierpaolo, che hanno presentato le luci e le ombre della situazione della catechesi a Roma. In un’Aula Nervi colma di sacerdoti e catechisti papa Francesco, dopo aver ribadito che l’esortazione apostolica  Evangelii Nuntiandi di Paolo VI - citata da don Palmieri - rimane un documento «insuperato», ha constatato come questa «è la società degli orfani, senza memoria di famiglia, con i nonni allontanati, nelle case di riposo ». E con «quasi il 40 per cento di ragazzi che in Italia non hanno lavoro», quasi fosse «materiale di scarto». Una società di «orfani di gratuità», di «quella gratuità che fa perdere il tempo di giocare con i figli ». «Quando pensiamo – ha sottolineato il Pontefice – che il Signore ci ha creato nella gratuità. È molto più importante il dono del bisogno. Grazia significa che tutto è gratis. Ma se non abbiamo il senso della gratuità sarà difficile a noi capire cosa è la grazia, che è qualcosa che non si compra». Ma «Gesù – ha ricordato il vescovo di Roma – ci ha fatto una grande promessa, non vi lascerò orfani. Dio è padre. Questo è il senso profondo dell’iniziazione cristiana».Da parte sua poi la Chiesa deve convertirsi «per diventare madre», «per essere feconda». Ma non è questione di cercare proseliti. Citando Benedetto XVI, papa Francesco ha ribadito che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma «per attrazione », cresce «per attrazione materna», per «tenerezza e testimonianza ». Il Pontefice ha ammesso che la «madre Chiesa» è un po’ «invecchiata»: «non dobbiamo parlare della Nonna Chiesa, ma è un po’ invecchiata», ha aggiunto. «Dobbiamo ringiovanirla – ha proseguito – ma non portandola dal medico che fa la cosmetica, quello non è il vero discernimento della Chiesa, la Chiesa diventa più giovane quando è capace di dare più figli, diventa più giovane quanti più figli ha». «Essere nella Chiesa – ha poi detto il Papa – è essere a casa con mamma, questa è la grandezza della rivelazione». «L’individualismo – ha quindi riflettuto, ricollegandosi alle osservazioni che gli avevano fatto i catechisti nel saluto – ci porta alla fuga dalla vita comunitaria e questo fa invecchiare la chiesa: andiamo a visitare una istituzione che non è più madre, ci dà una certa identità come la squadra di calcio, 'sono tifoso della Cattolica', e questo avviene quando c’è la fuga dalla famiglia e dalla vita comunitaria». Il Pontefice ha quindi esortato a «recuperare la memoria della Chiesa che è popolo di Dio: a noi – ha osservato – ci manca il senso della storia, abbiamo paura del tempo, niente tempo, siamo nel regno del presente e della congiuntura, soltanto questo spazio, questo spazio e niente tempo, anche nella comunicazione, l’oggi, il momento, il telefonino, il messaggino, il linguaggio più sincopato, più ridotto, tutto si fa di fretta, siamo schiavi della congiuntura», mentre invece bisogna «recuperare la memoria e la pazienza di Dio».  Rivolgendosi all’uditorio papa Francesco ha indicato per il presente la via della «accoglienza e tenerezza » e per il futuro quello della «speranza e pazienza». In particolare il vescovo di Roma ha invitato le segreterie delle parrocchie ad aprire le porte e non a chiuderle (e con una battuta ha ricordato che nella sua Buenos Aires c’era una famosa segretaria parrocchiale che «la chiamavano «la tarantola, e non dico di più...»). Insomma, ha ribadito il Papa, «dobbiamo offrire a tutti il tesoro di Gesù che accoglie tutti con cuore grande», «dobbiamo avere il cuore di Gesù il quale vedendo le folle ne sentì compassione ». E per fare questo tutta la parrocchia, e non solo i sacerdoti e i catechisti, deve essere una comunità accogliente, anche negli orari e nel linguaggio. Ma è importante, ha aggiunto sempre il Pontefice, che all’accoglienza segua «una chiara proposta di fede», che a volte può essere non esplicita ed affidata alla semplice testimonianza. Verso la fine del suo discorso papa Francesco ha voluto elogiare i preti: «Voglio tanto bene ai sacerdoti, è più facile fare il vescovo che il parroco. Noi possiamo nasconderci dietro al titolo 'Sua Eccellenza'». «Ma quando fai il parroco, – ha aggiunto con un filo di sorriso – e quando vengono a chiacchierare le cosiddette ragazze della Caritas contro quelle della catechesi non puoi difenderti...». «La Chiesa italiana – ha continuato il Papa – è tanto forte grazie ai parroci che dormivano col telefono sul comodino. Nessuno moriva senza i Sacramenti. Oggi continuano a farlo, con altri mezzi di comunicazione». Dopo la preghiera finale papa Francesco ha invitato tutti a pregare per lui: «il mio lavoro non è facile», «è un po’ insalubre» ha aggiunto sorridendo.