Ad limina. I vescovi lombardi dal Papa. Delpini: ci ha chiesto di perdonare
Papa Francesco riceve i vescovi lombardi, il 1° febbraio scorso, nell'ambito della loro visita "ad limina"
«Vicinanza, compassione, tenerezza»: ecco «lo stile della missione» che papa Francesco ha suggerito ai vescovi lombardi e alle loro comunità diocesane. «Non negate il perdono a chi lo chiede, per favore», ha aggiunto il Pontefice «a proposito del rapporto dei preti con la gente». L’udienza ai vescovi, lo scorso giovedì 1° febbraio, è stata il cuore e il culmine della visita ad limina Apostolorum svoltasi dal 29 gennaio al 2 febbraio. A parlare di quei giorni intensi e memorabili è l’arcivescovo di Milano e metropolita di Lombardia, Mario Delpini.
L'arcivescovo di Milano, Delpini - Fotogramma
La Regione ecclesiastica Lombardia comprende dieci diocesi: Milano e le sue suffraganee Bergamo, Brescia, Como, Crema, Cremona, Lodi, Mantova, Pavia e Vigevano. Quattordici i vescovi, 3.059 le parrocchie, 4.153 i sacerdoti secolari, 1.358 i sacerdoti regolari e 310 i diaconi permanenti al servizio di una popolazione di nove milioni e 850mila persone, secondo i dati più recenti dell’Annuario Pontificio e dell’Istituto Centrale sostentamento clero. A questa regione – che ha, fra le sue peculiarità, la compresenza di due riti, il romano e l’ambrosiano – hanno dato voce e volto i vescovi lombardi.
Eccellenza, qual è il volto della Chiesa in Lombardia che avete portato a Roma? Quali sono i principali motivi di fatica, fragilità, preoccupazione, e quali invece i segni di speranza, le “buone notizie” che avete condiviso con il Papa e con i Dicasteri della Curia Romana?
Abbiamo portato numeri, confronti, statistiche – risponde Delpini, che è presidente della Conferenza episcopale lombarda –. Numeri di preti, di seminaristi, di consacrati, di parrocchie, di scuole, di funerali, di giornali e copie vendute: se si fanno i confronti con il passato, spesso sembra che i numeri raccontino di un fallimento della missione in Lombardia, ma non dobbiamo essere ossessionati dai numeri. E poi, forse, i numeri più interessanti sono quelli dei santi e dei beati. Per preparare le relazioni abbiamo anche cercato di raccontare qualcosa di quello che si fa. Un volume impressionante di bene, di carità, di servizio, di preghiera. Il racconto, come prevedibile, era già noto nel suo complesso e i nostri interlocutori non hanno nascosto la loro ammirazione. Forse si è intuito persino qualche velato rimprovero: se siete così bravi e forti, come una portaerei equipaggiata di tutto punto, perché incidete così poco?
Qualcuno ci ha anche detto: sì la fede è fragile e i credenti sono fragili. Però anche gli atei sono fragili, anche gli indifferenti sono fragili. Forse riuscirete a trovare parole fragili per seminare un po’ di speranza. In effetti – ha detto papa Francesco – la speranza è una virtù piccola. Ed è come un’àncora piantata sulla riva e la nostra vita è come un andare avanti tenendo in mano la corda alla quale l’àncora è legata. Non si va avanti senza fatica. Ma chi non si attacca alla corda dell’àncora si perde nel gran mare della storia e va alla deriva.
Com’è stato l’incontro con il Papa? Quali indicazioni e raccomandazioni avete ricevuto da lui?
“Tutti, tutti, tutti!”, ha esortato papa Francesco per parlare di chi dobbiamo chiamare a partecipare al banchetto nuziale preparato del Gran Re. “Tutti dentro, ma le organizzazioni fuori dalla Chiesa”.
“Vicinanza, compassione, tenerezza”, ha detto papa Francesco per dire dello stile della missione, dei rapporti con i preti e con la gente.
“Il Vangelo in tasca”, ha raccomandato papa Francesco a proposito del rapporto con la Parola di Dio.
“La guerra mi fa piangere” ha confidato papa Francesco. “Ma fabbricanti e venditori di armi ridono, perché guadagnano molto. Che vergogna!”.
“Non negate il perdono a chi lo chiede. Non negate il perdono, per favore”, ha detto papa Francesco a proposito del rapporto dei preti con la gente.
Il dialogo con il Pontefice e con i Dicasteri della Curia Romana, quali temi, priorità e proposte offre ora al cammino delle diocesi lombarde?
Mi è sembrato di raccogliere più conferme che rimproveri, più incoraggiamenti che correzioni. Vorrei proporre di celebrare il mistero della Pasqua con l’intensità di partecipazione di chi di quel mistero vive e si lascia trasfigurare: forse è necessario un po’ più di silenzio nella preparazione e nella celebrazione dei santi misteri. Dobbiamo imparare a usare meglio il nuovo Messale e a non credere che basti un libro per celebrare il mistero che salva.
Vorrei proporre di cercare di parlare tra noi e con gli altri come gente ispirata da Dio, con un po’ più di poesia, di coraggio, di umiltà. Vorrei proporre di essere tutti, tutti!, pietre vive della Chiesa dalle genti, che tutte le genti che abitano la nostra terra si sentano a casa loro nelle chiese costruite dai nostri padri.
La visita ad limina è fatta anche di celebrazioni e preghiera vissute insieme, e di condivisione di momenti e gesti della quotidianità… Come è stata questa “settimana romana” per voi vescovi di Lombardia?
I vescovi di Lombardia stanno insieme volentieri. Sono simpatici. Pregano volentieri insieme. Durante i giorni romani abbiamo pregato talora anche durante i trasferimenti, tutti insieme sul pullmino: non è proprio l’ideale, ma era l’unico tempo disponibile… Sanno raccontare delle loro Chiese e delle situazioni drammatiche. Sanno raccontare esperienze divertenti e ridono volentieri. Sanno anche prendersi in giro. Hanno tante idee, hanno anche tante idee diverse. Ma non è mai capitato di litigare. Arrivano spesso a conclusioni e decisioni. Se sono rimproverati, tendono a difendersi. Ma non cessano di interrogarsi.
Eccellenza, lei nell’ottobre scorso era a Roma come padre sinodale. Queste esperienze – pur così diverse fra loro – come il Sinodo e la visita ad limina, quale segno lasciano nel modo di essere vescovo e di vivere questo servizio alla Chiesa, quando si torna in diocesi?
Purtroppo io sono un vescovo molto provinciale, abituato a vivere “nelle Gallie”. Quando c’è da andare via, a Roma o in qualsiasi altra parte del mondo, ho sempre l’impressione di andare a perdere tempo. Poi però incontro persone interessanti, parole illuminanti: torno sempre più convinto di quanto “le Gallie” siano piccole e di quanto ci sia da imparare.