Ieri, alla fine dell’udienza generale, Benedetto XVI ha incontrato Phil Fontaine, il «Grande Capo» dell’Assemblea delle «First Nations of Canada» – l’associazione degli aborigeni canadesi – accompagnato da James Weisgerber, arcivescovo di Winnipeg e presidente della Conferenza episcopale del Paese nordamericano, e da alcune altre persone. Nell’occasione il Papa – recita un comunicato in inglese della Sala Stampa della Santa Sede – «ha ascoltato le loro storie e preoccupazioni». Benedetto XVI – si legge nel comunicato – «ha ricordato che sin dai primi giorni della sua presenza in Canada, la Chiesa, particolarmente attraverso il proprio personale missionario, ha accompagnato da vicino i popoli indigeni. Riguardo alle sofferenze che alcuni bambini aborigeni hanno sperimentato nel Canadian Residential School System il Papa «ha espresso il proprio dolore per l’angoscia causata dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa e ha offerto la propria partecipazione e religiosa solidarietà». Il Pontefice «ha enfatizzato che atti di abuso non possono essere tollerati nella società». E ha pregato affinché «tutti quelli colpiti possano sperimentare un cammino di guarigione e ha incoraggiato le popolazioni indigene a continuare ad andare avanti con rinnovata speranza ».
Quell’infanzia «sradicata» L’udienza di ieri – preannunciata dallo stesso Fontaine sul New York Times del 15 aprile scorso – è collegata ad un capitolo particolarmente doloroso della recente storia canadese. Quello delle cosiddette «scuole residenziali» in cui vennero forzatamente iscritti circa centomila allievi indigeni tra la fine ’800 e gli anni ’70 del secolo scorso. Il notiziario della Radio Vaticana – citando una nota dell’episcopato canadese – ha ricordato ieri che in queste scuole, che in buona parte (45 su 76) erano gestite da diocesi o istituti religiosi cattolici, i bambini aborigeni «furono strappati alla propria famiglie e costretti ad abbandonare la propria lingua, la propria religione e il proprio modo di vivere per conformarsi alla cultura europea. Alcuni allievi inoltre furono anche vittime di abusi fisici e sessuali». Da qui la richiesta, da parte delle associazioni indigene, di scuse nei confronti di chi aveva organizzato questo sistema scolastico e di chi lo aveva gestito. Nel giugno dello scorso anno il governo di Ottawa aveva fatto un mea culpa durante una seduta spe- ciale della Camera dei Comuni. Nell’occasione il primo ministro Stephen Harper aveva detto: «Il trattamento dei bambini nelle scuole residenziali indiane è un capitolo triste nella nostra storia. Oggi noi riconosciamo che questa politica di assimilazione era sbagliata, ha causato un gran male e non ha posto nel nostro Paese». Successivamente anche tre gruppi protestanti che avevano gestito alcune strutture scolastiche. La Chiesa cattolica da parte sua già da tempo ha preso coscienza di quanto accaduto. Nel 1991 la Conferenza episcopale canadese e i leader delle comunità religiose maschili e femminili coinvolte avevano emesso un comunicato con cui si affermava: «Siamo dispiaciuti e profondamente rammaricati per le pene, le sofferenze e l’alienazione che così tanti hanno sperimentato» nelle «scuole residenziali».
Il «grazie» del leader aborigeno Ieri il gesto del Papa. Gesto che era stato disapprovato preventivamente in Canada da un gruppo di aborigeni riunito nell’associazione «Amici e parenti degli scomparsi », ma che invece è stato particolarmente apprezzato dal leader indiano Fontaine, che ha espresso «soddisfazione» e «contentezza » per l’incontro avuto col Papa: «Ciò che abbiamo sentito oggi dal Pontefice – ha spiegato in una conferenza stampa – era quello che ci aspettavamo. Benedetto XVI ci ha dimostrato un’accurata conoscenza di quanto è avvenuto nelle scuole canadesi ai danni della nostra comunità e – ha aggiunto – abbiamo parlato anche degli abusi sessuali inflitti. Il Papa ha espresso il suo dolore, il suo profondo rammarico, e soprattutto la volontà della Chiesa di impegnarsi seriamente nella riconciliazione ». «Tutto ciò – ha continuato il leader della comunità aborigena canadese – è molto importante per noi. Personalmente, con le sue parole il Papa mi ha dato il conforto che cercavo e l’incoraggiamento nel tentare di ricostruire le relazioni tra la Chiesa cattolica e la nostra comunità». Infine, Fontaine ha sottolineato il valore altamente simbolico della benedizione che Benedetto XVI ha impartito ai doni portatigli dalla comunità. Tra gli oggetti caratteristici della cultura e della tradizione aborigena canadese, alcune coperte, dei mocassini e una piuma d’aquila, «il più grande onore – ha spiegato – come regalo, che nella nostra comunità si possa fare a una persona ».