«Non abbiamo la verità, apparteniamo alla Verità». Con questo titolo la Radio Vaticana ha sintetizzato il fulcro dell’omelia pronunciata a braccio dal Papa domenica mattina nella Messa celebrata a Castel Gandolfo per i partecipanti al tradizionale seminario estivo degli ex-allievi di Benedetto XVI, il cosiddetto Ratzinger Schülerkreis, incentrato quest’anno sul tema «Risultati e domande ecumenici nel dialogo con il luteranesimo e l’anglicanesimo». Oggi – ha spiegato il Papa – i concetti di verità e intolleranza sono quasi fusi tra di loro; così dire di avere la verità diventa sinonimo di intolleranza. Tanto che noi cristiani non osiamo più credere o parlare di verità. In effetti, ha osservato il Papa, nessuno può dire «Possiedo la verità», perché siamo noi che apparteniamo alla verità che è qualcosa di vivo. Come nessuno può dire «Ho dei figli», perché non sono un nostro avere, ma un dono di Dio e un compito, così non possiamo neanche dire «Ho la verità»; ma la verità, che è Cristo stesso, è venuta verso di noi e nell’Eucaristia è venuta addirittura dentro di noi per pulirci dalle nostre miserie, dal nostro egoismo che fa sembrare il cristianesimo solo un sistema di usanze. Il Papa poi, sempre secondo il resoconto non virgolettato della Radio Vaticana, ha fatto propria l’esortazione delle Scritture a non accentuare la dimensione intellettuale della fede e della teologia.A conclusione del seminario estivo il direttore del Schülerkreis, padre Stephan Horn, ha riferito in un’intervista alla Radio Vaticana alcuni contenuti del colloquio. In vista del cinquecentenario della Riforma, nel 2017, ha detto: «È stata sviluppata l’idea di un "mea culpa" di ambedue le parti. Il Santo Padre ha sempre avuto l’idea che fosse necessaria la purificazione della memoria. È un tema che ha sviluppato da tempo». «Naturalmente, i fatti storici non possono essere cancellati, però la differenza sta nel come si vedono queste cose: cancellare il veleno di questi conflitti è un vero risanamento – ha aggiunto padre Horn –. Questo aiuta molto per una maggiore vicinanza nel futuro. Forse, però, non è utile organizzare solo un grande evento: compiere queste cose nella vita quotidiana dei cristiani sembra essere di grande aiuto». «Noi tutti abbiamo l’impressione che questo incontro sia stato uno dei migliori», ha poi sottolineato padre Horn. «Avevamo già meditato il tema, dentro di noi, prima dell’incontro con il Santo Padre – ha spiegato –, e abbiamo parlato delle nostre esperienze specialmente nell’incontro con i luterani in Germania». Secondo il direttore del Ratzinger Schülerkreis, «non si tratta certo di grandi nuovi sviluppi, ma in molti sensi di una grande vicinanza. Questa è pure l’idea che il Santo Padre ha sottolineato: il dialogo, anche il dialogo della vita, è un vero progresso ecumenico. Non è utile pensare solo a una definitiva unità, ma a compiere i passi che possiamo fare». Padre Horn ha poi riferito che Benedetto XVI ha fatto riferimento al caso delle carte trafugate in Vaticano: «Ha parlato anche di queste cose con grande serenità interna e rimane saldo nel suo ministero: non è fragile, ma lavora normalmente».L’Osservatore Romano ha sentito un altro dei partecipanti al seminario, il vescovo Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, il quale ha spiegato come nella discussione è emerso come il tema dell’ecumenismo «implica una lettura del peccato e della rottura dell’unità: tutti siamo colpevoli e pertanto dobbiamo tornare a confessare i nostri peccati per lasciare che la verità di Dio continui la sua opera di redenzione del mondo». Questa premessa – sottolinea il presule – «porta a concludere che fare teologia in ambito ecumenico non è un affare per pochi intellettuali, ma è un fatto che riguarda tutta la cristianità. Significa pentirsi insieme per ricominciare a credere in Dio. E il mondo crederà nella misura in cui sapremo riconoscere il nostro peccato davanti alla realtà di un Dio che in Cristo ha manifestato il suo amore».