Chiesa

IN SCENA OLTRE LA DISABILITA'. Il palcoscenico terra di missione

Filippo Rizzi giovedì 23 agosto 2012
Insegnare a calcare la scena da provetto attore o trasmettere l’arte di scrivere copioni teatrali ai ragazzi affetti da varie disabilità motorie e fisiche: dalla cecità alle difficoltà di esprimersi o di deambulare. È stata ed è la ragione di vita, ma anche la missione, del gesuita statunitense Richard Curry, oggi 69enne. Una storia quella di questo figlio spirituale di sant’Ignazio, originario di Philadelphia, del tutto particolare e quasi uscita dalle pagine di un romanzo americano di John Steinbeck: privo di un avambraccio fin dalla nascita, entra giovanissimo nella Compagnia di Gesù nel 1962 come fratello e nel 1977 fonda e dirige a New York un laboratorio teatrale per persone con disabilità (The National Theatre workshop for the handicapped). Una struttura che da allora ha permesso a centinaia di ragazzi di diventare qualificati professionisti nel mondo dello spettacolo. Un laboratorio teatrale nato non certo per caso: fu la delusione del giovane Curry di essere stato scartato a un provino per uno spot in una tv commerciale perché nato senza un avambraccio a spingerlo a fondare una scuola di teatro a misura di disabile.«Da quella cocente delusione – racconta il gesuita  – ho gettato le premesse di quello che sarebbe diventato il mio laboratorio. Non si trattava soltanto di fare l’attore, ma di acquisire fiducia in se stessi e relazionarsi con gli altri in maniera nuova». E i frutti di questa intuizione pedagogica, nell’arco di questi quasi quarant’anni, non si sono fatti attendere: molti studenti di questa scuola sono diventati attori professionisti, alcuni hanno ottenuto piccole parti in soap televisive, mentre altri scrivono copioni per una società teatrale di Los Angeles.Tra i fiori all’occhiello di questa istituzione vi è anche la nascita di una compagnia teatrale, di persone con disabilità e non, che porta il suo spettacolo in tournée negli Stati Uniti. Tra i punti qualificanti di questo programma recitativo, che prevede anche momenti di rilassamento, declamazione e canto, ci sono i provini divenuti parte integrante di ogni semestre. «Le lezioni li aiutano a sentirsi a loro agio – osserva il gesuita di Philadelphia – quando la gente li guarda: non sono abituati a un confronto diretto con il pubblico. Quello che più mi ha sorpreso, in questi anni, è stata l’abbondanza di talenti scoperta tra questi giovani». Il vero punto di svolta, quasi un «cambio di direzione» nell’azione di apostolato del gesuita Richard Curry, è avvenuto molti anni più tardi, nel 2006, quando dopo un incontro e un ricevimento con i veterani e i soldati mutilati a causa delle recenti guerre in Iraq e in Afghanistan decise di realizzare un laboratorio teatrale pensato ad hoc per queste persone. Da quell’incontro è sorto il progetto Wounded warriors (militari feriti): si tratta di un programma gratuito di dieci giorni, che dal luglio 2006, si tiene ogni anno nel Maine e riunisce veterani con cicatrici di guerra sia fisiche sia psicologiche.«Molti di loro salgono zoppicando sul palcoscenico – rivela divertito Richard Curry – per declamare i loro monologhi e poi ne discendono "volando"». Ma le sorprese, come i cambi di rotta nella vita di questo gesuita dai tratti eccezionali, non si sono fermate qui: da quel 2006 molti reduci sono accorsi a lui per un aiuto psicologico, un confronto sulla loro vita interiore e chiedendo, molto spesso, il sacramento della Confessione. «Essendo un semplice fratello – confida – non potevo amministrare questo tipo di Sacramento di cui loro avvertivano il bisogno. Per me è stata una pugnalata al cuore non poter venire incontro ai loro desideri. Ai veterani mancava una guida spirituale e così con il sostegno e permesso dei miei superiori mi sono messo a studiare per diventare prete». Il 13 settembre 2009 (ottenendo una particolare dispensa dalla Santa Sede per celebrare con una sola mano) fratel Curry è stato ordinato sacerdote nella chiesa di Holy Trinity a Washington dall’ordinario militare per gli Stati Uniti, l’arcivescovo Timothy Paul Broglio. «Mi sembra di poter ora – riflette oggi padre Curry – essere ancora più vicino, attraverso il ministero del sacerdozio, a queste persone e di poter venire incontro ancora di più alle loro ferite fisiche ma anche morali e offrire così ancora di più un sostegno di speranza alle loro vite».