Liturgia. Il cardinale Betori: «Il Messale? Più fresco e fedele»
Definisce la giornata di domenica 29 novembre una «data significativa ». Perché con la prima Domenica d’Avvento inizia l’Anno liturgico e in contemporanea «cominciamo a usare il “nuovo” Messale tutti insieme per esprimere la comunione che è la Chiesa in Cristo », spiega il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. Accadrà nella maggioranza delle diocesi italiane dove “debutterà” il rinnovato volume per celebrare l’Eucaristia. Betori può essere considerato uno dei fautori della terza edizione italiana del libro liturgico. Infatti il porporato, apprezzato biblista, ha seguito il lavoro di traduzione fin dall’inizio, ossia da quando era segretario generale della Cei. Domani alle 18 il cardinale presiederà la celebrazione eucaristica con il nuovo Messale nella Cattedrale di Firenze.
Eminenza, come leggere la scelta di adottare il Messale con la prima Domenica d’Avvento?
Celebrare tutti e ovunque allo stesso modo all’interno della Chiesa cattolica di rito romano è espressione dell’unità dei credenti in Cristo, dell’appartenenza all’unico popolo di Dio nel concreto contesto di incarnazione della fede. Per questo è importante che tutte le comunità locali, in specie quelle parrocchiali, si muovano all’unisono nel riferirsi alla medesima modalità del rito liturgico della Messa, quello codificato nella terza edizione del Messale Romano nella sua traduzione italiana. Se ogni parrocchia avesse deciso autonomamente, i fe- deli, a seconda della chiesa scelta per partecipare alla Messa, si sarebbero trovati domenica dopo domenica con forme liturgiche diverse. Come vescovi della Toscana - ma ciò mi risulta che accada in molte diocesi italiane - abbiamo allora stabilito che si cominciasse a usare il “nuovo” Messale tutti insieme.
Perché sono stati necessari 18 anni per giungere alla pubblicazione?
La terza edizione latina del Missale Romanumè stata promulgata il 20 aprile 2000 e pubblicata nel 2002, ma l’edizione a cui fa riferimento la traduzione italiana è quella emendata del 2008 che accoglie alcune ulteriori variazioni. I 18 anni diventano così 11. Va poi tenuto conto che alla base del linguaggio liturgico si pone il linguaggio biblico, per il quale la Chiesa italiana ha come riferimento normativo l’edizione della Bibbia promulgata nel 2007, da cui sono tratti i Lezionari liturgici pubblicati tra il 2007 e il 2010. Il lavoro di traduzione del Messale suppone tutti questi passaggi e si svolge ovviamente avendo come riferimento il testo biblico che viene riprodotto o costituisce ispirazione di antifone, orazioni, preghiere, ecc., ma anche la tradizione liturgica, la sensibilità letteraria odierna, la cantabilità di alcuni testi, e così via.
Un lavoro complesso.
E assai impegnativo in cui l’apporto degli esperti si è incrociato con revisioni e approvazioni dei vescovi fino all’approvazione finale dell’Assemblea della Cei del novembre 2018. Passato alla conferma della Santa Sede per la traduzione e all’autorizzazione degli adattamenti introdotti dalla nostra Conferenza – si tratta di testi già presenti nella seconda edizione del Messale italiano, ora ulteriormente rivisti – tutto il cammino si è concluso con l’approvazione data da papa Francesco il 16 maggio 2019. Un gesto «insolito ed eloquente» ha commentato un autorevole esperto, a cui ha fatto seguito il decreto della Congregazione per il culto divino. Un percorso in cui molte competenze, scientifiche, pastorali e magisteriali, si sono incrociate in un percorso profondamente sinodale. Va anche aggiunto che le norme sulle traduzioni dei testi liturgici hanno avuto una correzione di rotta con il Motu proprio di papa Francesco Magnum Principium del 2017 che ha comportato un significativo lavoro di ridefinizione dei testi nell’ultimo anno di lavoro. C’è da essere molto grati ai numerosi esperti che sono stati impegnati nella traduzione, come pure ai vescovi delle diverse Commissioni che hanno coordinato i lavori.
Nell’opinione pubblica il nuovo Messale è associato alle modifiche del Padre Nostro e del Gloria. Ma la ricchezza di novità è ben più ampia.
I due cambiamenti relativi all’inizio del Gloria e a due passaggi del Padre Nostro sono significativi di uno dei principi che reggono la traduzione, cioè la sua coerenza con i testi biblici di riferimento. È un aspetto molto importante perché così si contribuisce a creare un linguaggio di fede condiviso che ha alla sua base la Sacra Scrittura, si manifesta nella preghiera liturgica per giungere a nutrire la comunicazione della fede, dalla predicazione alla catechesi. Sarà però essenziale che ci si ponga con disponibilità all’ascolto di tutti i testi, in cui si è cercato di far emergere per quanto possibile la fedeltà alla tradizione del linguaggio liturgico latino.
Un esempio?
Nella seconda Preghiera eucaristica l’invocazione della venuta dello Spirito che nel latino è così espressa «Haec ergo dona… Spiritus tui rore sanctifica », era finora tradotta con «Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito», mentre ora il celebrante prega «Santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito». Non ne acquista solo la fedeltà al latino e la valenza poetica del testo, ma anche il rinvio ai numerosi testi che utilizzano il simbolo della rugiada nella letteratura biblica e patristica. Siamo di fronte a un linguaggio rinnovato, in genere più fresco e fedele. Non sottovaluterei neanche l’attenzione al linguaggio inclusivo, peraltro senza esagerazioni.
Anche il canto ha un maggiore spazio?
Non meno importante è la promozione del canto liturgico, con l’inserimento della notazione musicale all’interno del formulario eucologico: nella stessa pagina abbiamo il testo di preghiera e direttamente la melodia per poterlo eseguire in canto. Insomma un gran lavoro che esalta le fonti, in specie quelle bibliche, ed è attento al contesto culturale e celebrativo attuale.
Il nuovo Messale può aiutare a riscoprire la bellezza della liturgia?
Le novità saranno percepite anzitutto dai sacerdoti in quanto si troveranno costretti a superare una certa assuefazione a formule ormai entrate nella memoria. Ci sarà quindi bisogno di un gran lavoro formativo che è stato avviato nelle diocesi in questi mesi, con appositi incontri. C’è da sperare che questa attenzione non si fermi qui. Poi ci sono i fedeli. Nella nostra diocesi abbiamo chiesto ai sacerdoti, fornendo loro una guida, alla fine della celebrazione domenicale negli ultimi due mesi, di ripercorrere i diversi momenti della Messa, illustrandone il significato e segnalando le novità introdotte dal “nuovo” Messale. Ma anche questo impegno formativo dovrà continuare. E poi c’è da incrementare il rapporto tra liturgia e vita. Solo quando questa risuona nella preghiera della Chiesa, fa risplendere come il mistero eterno che si celebra è vivo nella storia di cui siamo partecipi.