Piacenza. Addio al “seminarista del sorriso”: vivere e morire a 26 anni, in Dio
Fabrice Fuamba Mpungue
Ormai a Piacenza lo conoscono tutti. Anche quelli che non lo hanno mai incrociato di persona. “Il seminarista del sorriso”, è stato soprannominato. Perché è con il sorriso e con una incrollabile fiducia nel disegno della Provvidenza – anche quando è più duro da comprendere ed accettare – che Fabrice ha affrontato i tre mesi di malattia. Si è spento venerdì sera, a 26 anni. Nella diocesi di Kabinda, Repubblica Democratica del Congo, Fabrice Fuamba Mpungue non tornerà per la festa più bella, l’ordinazione sacerdotale. Ma per un secondo funerale, dopo quello celebrato a Piacenza ieri dal vescovo Adriano Cevolotto nella chiesa di San Lazzaro e San Vincenzo de’ Paoli, nel complesso del Collegio Alberoni, dove tante volte, da seminarista, ha pregato e prestato servizio all’altare.
Fabrice sapeva farsi voler bene. Lo piangono i compagni della 137ª camerata dalla fondazione del Collegio, come recita il registro della sua presenza nell’istituzione nata nel diciottesimo secolo su iniziativa del cardinal Giulio Alberoni per accogliere i giovani poveri che desideravano diventare sacerdoti. Nel tempo è diventato un seminario dal respiro internazionale. Fabrice vi era approdato tre anni fa, dopo una laurea in filosofia al Seminario di Kabinda dove era entrato sedicenne. Il suo vescovo l’aveva segnalato per proseguire il percorso a Piacenza, diocesi in cui già alcuni sacerdoti congolesi stanno vivendo un periodo di formazione e “apprendistato” pastorale. Fabrice frequentava il quarto anno di teologia, prestava servizio alla parrocchia della Sacra Famiglia. Un ragazzo solare, gentile, scattante nella vita come sul campo da calcio. Con la squadra dell’Alberoni aveva disputato il torneo dei Seminari, guadagnandosi il soprannome di “Mbappé”.
«Non ha perso il sorriso neanche quando la sua strada si è fatta in salita – sottolinea il superiore dell’Alberoni, il vincenziano padre Nicola Albanesi –. Si è incontrato con il segno del cristiano: la croce. E su quella croce ha scoperto la sua vocazione nella vocazione».
«Ce la fai?». Negli ultimi mesi, agli amici che gli chiedevano se gli andava di pregare insieme la Liturgia delle Ore, in ospedale o nella sua stanza, Fabrice rispondeva: «Come posso non pregare il Signore?». È la testimonianza di un «cuore vocazionale», ha detto il vescovo Cevolotto, «scelto per amare gli uomini e le donne con il cuore di Gesù, Buon Pastore. E quando un’esistenza è abitata da questo amore, la sua durata diventa secondaria, perché questo amore, non venendo meno, dà sussistenza anche nella morte, oltre la morte».