Chiesa

LA MISSIONE DELLA CHIESA. ll Papa: «Chiesa semplice o la missione fallisce»

Francesco Ognibene sabato 27 luglio 2013
Creatività dell’amore, grammatica della semplicità, riscaldare il cuore, accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, penetrare nel varco del disincanto dei cuori, ridare cittadinanza a tanti che camminano come in un esodo… Il discorso del Papa ai vescovi brasiliani sulla missione della Chiesa oggi è intessuto di espressioni che recano chiaramente la sua impronta, nei contenuti non meno che nello stile. Anzitutto va sottolineata la lunghezza, del tutto inusuale per Francesco: il testo letto ai presuli di questo immenso Paese (che conta il maggior numero di cattolici e di diocesi al mondo) è una riflessione che parlando al Brasile in realtà allarga gli orizzonti a tutta la Chiesa.E’ di fatto la prima sistematizzazione della visione della Chiesa di Papa Bergoglio. Il Papa ricorre a due immagini: il rinvenimento miracoloso ormai 300 anni fa dell’immagine mariana venerata ad Aparecida come patrona del Brasile e i discepoli di Emmaus. Ad Aparecida, dice il Papa, Dio offre “una lezione sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, è nel Dna di Dio”. L’icona infatti venne pescata nelle acque di un fiume da umili pescatori che poi la rivestirono di panni come per proteggerla: “Hanno una barca fragile, inadatta, hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti”, ma Dio “è arrivato di sorpresa, forse quando non era più atteso. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché può sempre reinventarsi: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza”. I pescatori che “portano a casa il mistero”, cioè la statuetta in pezzi, sono segno della “gente semplice” che “ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto”. Poi quei pescatori rivestono l’immagine di panni: “Dio – chiosa il Papa - chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica”. La porta della loro vita ora è aperta: “Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia che prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza”. La lezione di Aparecida a Bergoglio pare trasparente: occorre “una Chiesa che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto, il fascino. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza”. Per il Papa è chiaro che “senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al fallimento”. E se la Chiesa “non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani”, tuttavia “Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce”. Dunque, “il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti”. All’icona dei discepoli di Emmaus che si allontanano da Gerusalemme con l’idea di essere ormai solo dei vinti il Papa invece consegna un’analisi del rapporto tra la Chiesa e l’uomo contemporaneo. Come i due in cammino fuori dalla Città Santa, anche noi “abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, come chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti”. Le parole del Papa sul “mistero difficile della gente che lascia la Chiesa”, di chi ritiene “che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante” interroga il Papa. Costoro “vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta”. “Di fronte a questa situazione – si chiede Bergoglio – che cosa fare?”. La risposta è una rotta per il futuro: “Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso”. La globalizzazione illude e delude: sotto i nostri occhi sono “lo smarrimento del senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenenza a un qualsivoglia ‘nido’, la violenza sottile ma implacabile, la rottura interiore e la frattura nelle famiglie, la solitudine e l’abbandono, le divisioni e l’incapacità di amare, di perdonare, di comprendere, il veleno interiore che rende la vita un inferno, il bisogno della tenerezza perché ci si sente così inadeguati e infelici, i tentativi falliti di trovare risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso diventati ulteriori prigioni”. La risposta è un altro tratto di strada da compiere: “Oggi serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio”. Il Papa incalza con nuove domande e altrettante sfide: “Siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?”. A questo punto il Papa sottolinea – tra gli altri – un virus che si è inoculato anche nella Chiesa, offrendo anche l’antidoto con parole dolcissime: “La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare. Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia Madre, nostra Madre e non siano orfani!”. E poi una delle frasi più forti del discorso: “Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo”. Bergoglio punta dritto sulla missione: “E’ da ricordare – dice - che l’urgenza deriva dalla sua motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità .è come il testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità”. A compiere la missione sarà una Chiesa capace di “conversione pastorale”: “Vorrei ricordare – precisa il Papa - che ‘pastorale’ non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano... Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. La missione ha anche un inevitabile impatto sociale, e “nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele”. Infine, un’indicazione esplicita sulle donne: “Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Perdendo le donne la Chiesa rischia la sterilità”.