Chiesa

Il caso. La Russa: seconda carica dello Stato “ma anche” ideologo e uomo-partito

Angelo Picariello sabato 12 ottobre 2024

Il presidente del Senato Ignazio La Russa

Ignazio La Russa, la seconda carica dello stato in corsa per il primato in fatto di gaffe e scivoloni. L’uomo è simpatico e istintivo, assomiglia molto all’imitazione benevola che ne fa Fiorello, avvantaggiato dalla comune inflessione dialettale. L’accusa di fare scouting fra i senatori di Italia viva è solo l’ultima, la più insidiosa, ma anche – al momento – la più controversa. Parola contro parola. La senatrice Dafne Musolino, dopo che Matteo Renzi aveva accusato il presidente del Senato di aver cercato voti fra i senatori di Iv per il giudice costituzionale Francesco Saverio Marini, nel confermare la cosa ha circostanziato e aggravato l’accusa, per fatto personale: in un incontro a pranzo – casuale - al ristorante del Senato il presidente l’avrebbe avvicinata e invitata a passare del tutto con Fratelli d’Italia, con un approccio definito «abbastanza diretto». Ci sarebbe stato, invece, poco più di un saluto, «non più di trenta secondi» nella versione di La Russa, e di niente di tutto questo si sarebbe trattato. «È normale che, quando si fanno queste proposte così azzardate, poi si cerchi di ridimensionarle, ma ci sono i testimoni», insiste Renzi. Finisce in mezzo il portavoce del presidente del Senato, che in una nota lo aveva accusato di «mentire sapendo di mentire. Sta superando ogni limite», aveva aggiunto, riportando parole non sue, evidentemente, ma ora viene minacciato di querela dall’ex premier. Mentre un altro caso di tentato reclutamento di cui si era parlato, riguardante Naike Gruppioni, eletta con Azione ma recentemente passata con Italia viva, viene smentito dalla diretta interessata.
In attesa di saperne di più sul singolo caso, se mai sarà possibile accertare sul serio come sono andate le cose, si possono mettere in fila le parole borderline che sono agli atti in questi due anni a Palazzo Madama. Più di una volta La Russa ha attirato involontariamente i riflettori su di sé per un uso un po’ troppo disinvolto del “ma anche”, altrimenti definito “benaltrismo”. Divennero un caso le sue parole usate nel tentativo di difendere la contestata affermazione di Giorgia Meloni sulle Fosse Ardeatine («uccisi solo perché italiani»). Andò sull’attentato che aveva scatenato la rappresaglia nazista: «Via Rasella – disse - non è stata una pagina gloriosa della Resistenza. Quelli che i partigiani hanno ucciso non erano biechi nazisti delle SS ma una banda musicale di semi-pensionati, altoatesini (in quel momento mezzi tedeschi, mezzi italiani), sapendo benissimo il rischio di rappresaglia al quale esponevano i cittadini romani, antifascisti e non». Parole che divennero un caso enorme, risuonando quasi come un tentativo di giustificare la strage nazista che prese di mira tanti antifascisti innocenti, fra cui il sacerdote don Pietro Pappagallo.

Tralasciando qualche amenità divertente (come quando, non accorgendosi del microfoni aperti della presidenza, chiese: «C'è ancora l'albanese?», all’atto di ringraziare per la sua presenza in Aula di Jorida Tabaku, parlamentare dell’Albania in visita ufficiale in Italia), è di questi giorni un altro caso che lo coinvolge pesantemente per la commistione fra pubbliche istituzioni e ragioni di parte. «Italo Bocchino ha scritto un libro che mi piacerebbe venisse, se non distribuito, adottato nelle scuole», ha detto del volume dell’ex deputato di An “Perché l’Italia è di destra”. E una presentazione dello stesso in una sede istituzionale prestigiosa, come la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e contemporanea, con l’intervento proprio di La Russa, ha suscitato una dura polemica che ha indotto alle dimissioni tre componenti su quattro del comitato scientifico.

Ma è l’apologia del neofascismo, e la mancata condanna del fascismo, ad averlo fatto deragliare maggiormente. Ci ha pensato poi l’impietosa memoria del Web a portare alla luce frasi di vera e propria apologia del regime, più datate ma inequivocabili. «Nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo», disse lo scorso anno in vista delle celebrazioni del 25 aprile, trascurando che il dibattito fu affrontato già in Costituente, e di fronte alla professione di “afascismo” del liberale Lucifero, fu Aldo Moro a chiarire con parole inequivocabili, in un discorso memorabile, che il carattere della Costituzione era da ritenersi, invece, marcatamente antifascista.

In linea con questa definizione, d’altronde, la Costituzione vieta esplicitamente la ricostituzione del partito fascista. Ma proprio sulla formazione orgogliosamente neofascista di CasaPound La Russa è scivolato in maniera più insidiosa, e più volte. Come quando, nel luglio scorso, il giornalista della Stampa Andrea Joly fu aggredito mentre stava filmando scene compromettenti a Torino, proprio da militanti del gruppo di estrema destra, oltre che della Lega. La Russa, pur condannando l’episodio, si lasciò andare a un’affermazione della quale non calcolò la portata inaccettabile del “non detto” sottostante, sostenendo di non credere che Joly «passasse da lì per caso» e che «sarebbe stato meglio che avesse dichiarato di essere un giornalista», come a voler dire che, se non lo fosse stato, la “punizione” sarebbe stata ineccepibile.

Ad aggravare i capi di accusa – con i social è un attimo – è così rispuntato, e diventato virale, un video del 2019 in cui La Russa, ospite di CasaPound a Verona, nel tessere l’elogio di questa associazione marcatamente nostalgica del regime definiva un «complimento» l’accusa di essere un fascista. Ma gli applausi della ristretta platea, nel giro di tre anni, con l’approdo alla seconda carica di una Repubblica nata sulle ceneri del fascismo, si sono trasformate per La Russa in un formidabile boomerang.