La secolarizzazione come uno tsunami. Usa un’espressione davvero forte il cardinale Donald William Wuerl, per descrivere la situazione odierna. Una situazione che anche a suo avviso rende «urgente» la nuova evangelizzazione. L’arcivescovo di Washington, relatore generale del Sinodo, ne ha parlato ieri, sia nella sua relazione
ante disceptationem, tenuta in aula, sia nel successivo incontro con i giornalisti in sala stampa, dove era presente anche monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. In entrambe le occasioni, però, non si è limitato alla diagnosi, offrendo anche numerosi spunti "terapeutici", a partire dall’orizzonte di speranza, che deve ispirare il Sinodo e l’Anno della fede, e da una rinnovata fiducia nel Vangelo che deve spingere tutti i cristiani ad annunciare Gesù risorto.Nella sua analisi, il porporato statunitense ha puntato il dito contro gli anni ’70 e ’80. È in quel periodo, a suo avviso, che si è sviluppata la «drastica riduzione della pratica della fede tra coloro che sono battezzati», alla quale oggi bisogna far fronte. «Due generazioni di fedeli – ha detto – si sono dissociate dai sistemi di sostegno che facilitavano la trasmissione della fede». È stato «come se uno tsunami di influenza secolare scardinasse tutto il paesaggio culturale, portando via con sé indicatori sociali come il matrimonio, la famiglia, il concetto di bene comune e la distinzione fra bene e male».A un tale panorama già abbastanza fosco, hanno dato poi una grande mano «i peccati di pochi, che in un modo tragico hanno incoraggiato una sfiducia in alcune delle strutture insite alla Chiesa stessa».Il risultato è che queste generazioni di cattolici «non conoscono le preghiere fondamentali della Chiesa. Molti non percepiscono il valore della partecipazione alla Messa, non ricevono il sacramento della Penitenza e spesso hanno perso il senso del mistero o del trascendente come se avesse un significato reale e verificabile». Secondo Wuerl, perciò, tutto questo «ha fatto sì che una grande parte di fedeli fosse impreparata ad affrontare una cultura caratterizzata dal secolarismo, dal materialismo e dall’individualismo».A farne le spese, insieme agli individui, è stata la famiglia, che resta però, ha ricordato il relatore del Sinodo, «anche a dispetto dei tentativi di ridicolarizzarla, una realtà naturale e il primo elemento costitutivo della comunità». Wuerl, anzi, ha indicato la famiglia come «modello e luogo della nuova evangelizzazione e delle relative questioni sulla vita». Essa, infatti, «rappresenta il contesto naturale e normale per la trasmissione sia della fede che dei valori, ed è la realtà a cui spesso si ritorna per sostegno durante tutta l’esistenza».Wuerl comunque ha messo l’accento anche sugli aspetti positivi, soprattutto sui segnali lanciati dai giovani, dai bambini e dai loro genitori. I primi, in particolare, dopo essersi allontanati dalla Chiesa, sembrano delusi anche dal secolarismo. Dunque c’è spazio per un rinnovato annuncio. E se i missionari del passato hanno coperto «immense distanze geografiche» per annunciare il Vangelo, i missionari del presente devono superare «distanze ideologiche altrettanto immense», senza neppure uscire dal quartiere. Ma la nuova evangelizzazione (che non è un programma quanto piuttosto un nuovo modo di pensare, di vedere e di agire) ha bisogno soprattutto di fiducia. I cristiani, ha detto il cardinale, devono «superare la sindrome dell’imbarazzo» di annunciare Gesù. Occorre una «fiducia nuova nella nella verità della fede, anche e soprattutto da parte di quelle istituzioni cattoliche - scuole, università, ospedali - che parlano o dovrebbero parlare in nome delle Chiesa». E naturalmente, serve soprattutto la forza della testimonianza personale. Infine, ha aggiunto monsignor Celli, «occorrerà trovare il linguaggio più adatto per parlare ai nostri contemporanei, anche avvalendosi dei nuovi media».