Pordenone. Il cardinale Pell: in cella non potevo dire Messa. L'Eucaristia da una suora
George Pell
«Perché ho scelto di essere processato nel mio Paese? Non era serio che, considerandomi innocente, rimanessi qui in Italia, a Roma». Così si è espresso il cardinale George Pell, già arcivescovo di Sydney e prefetto emerito della Segreteria per l’economia, presentando a Pordenone il suo Diario di prigionia, libro dove ripercorre la sua odissea giudiziaria con l’accusa di abuso su minori poi risultata infondata.
Ad ospitarlo è stato il Seminario diocesano, nel centenario della fondazione e nell’ambito della quindicesima edizione di “Ascoltare, leggere, crescere”. Pell, intervistato da Gianni Cardinale, vaticanista di Avvenire, ha fatto sapere che è già stato pubblicato il secondo volume dei suoi diari, in lingua inglese, e che probabilmente verrà tradotto in italiano, mentre negli Stati Uniti e in Australia è ormai prossimo alla pubblicazione il terzo volume.
«Perché ho raccontato la mia prigionia? Semplicemente per aiutare tanti altri che soffrono in carcere. D’altra parte scrivere in prigione è una buona terapia; l’ha dimostrato san Paolo e l’ha testimoniato anche Solgenitsin». Ben 400 i giorni di carcere. «Mi hanno aiutato molto, come accade a noi credenti, da una parte la preghiera e dall’altra quei piccoli lavori che si possono continuare a svolgere ».
Pell ha vissuto per mesi in stato di isolamento; ha riferito che gli mancava molto la luce del sole perché la sua cella aveva le finestre oscurate, mentre solo da un lucernaio si poteva vedere il cielo. Circa una dozzina i suoi compagni di isolamento, per lo più tossicodipendenti che spesso gridavano e protestavano contro le guardie, manifestando quindi angoscia. Il cardinale non poteva celebrare la Messa perché ai prigionieri, in Australia, è vietata qualsiasi forma di assunzione di alcool.
«Ma – ha ricordato – ogni settimana ricevevo il conforto dell’Eucaristia dalle mani di una suora». Tanta la solidarietà ricevuta: più di 4 mila lettere da ogni parte del mondo. Alla domanda se gli abusi sessuali sono il primo problema nella Chiesa, Pell ha risposto che ad allarmare deve essere anzitutto la crisi della fede e che altrettanto gravi sono le difficoltà morali in cui versa la famiglia.
Intanto, in un precedente evento della stessa manifestazione in Seminario, Johan Ickx, direttore dell’archivio storico della Segreteria di Stato, ha presentato il suo libro Pio XII e gli ebrei, introdotto da monsignor Otello Quaia, docente di storia della Chiesa. Ha riferito tra l’altro che rispetto alle 2.800 richieste di aiuto da parte di famiglie ebree in Vaticano, nel corso della seconda Guerra mondiale, potrebbero essercene ancora 15mila in altri archivi della Sede Apostolica. «Queste suppliche (perché tali erano) testimoniano che in Vaticano c’era non solo la volontà ma anche la “dottrina” di aiutare i fratelli ebrei», ha sottolineato Ickx. «Gli ebrei sono nostri fratelli – scrisse infatti il cardinale Gasparri, segretario di Stato con Pio XII – e il popolo ebreo deve essere rispettato ed avere tutti i diritti degli altri popoli».
È dunque falsa l’immagine di un Pio XII seduto sulle ginocchia di Hitler – ha chiarito Ickx – come in taluni casi si è fatto passare. «Non ho trovato nessuna lettera scambiata tra Hilter e il Papa – ha testimoniato lo storico – mentre ne ho trovate tante scambiate tra Pio XII e Roosevelt» in cui i due confermavano tutto il loro impegno contro il mostro del male del mondo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Nel Seminario di Pordenone il porporato australiano presenta il suo “Diario di prigionia” che avrà un seguito in due volumi. Su Pio XII le ultime scoperte dello storico Ickx: forte la volontà di aiutare i fratelli ebrei Nessuno scambio di lettere con Hitler