Chiesa

La storia. Il cardinale nigeriano Okpaleke vescovo rimasto senza diocesi

Gianni Cardinale giovedì 16 febbraio 2023

Il cardinale Okpaleke

Roma Il cardinale nigeriano Peter Ebere Okpaleke, 60 anni il 1° marzo, creato da papa Francesco nell’ultimo Concistoro dello scorso agosto, è stato protagonista suo malgrado di una storia particolare. Nominato vescovo di Ahiara nel dicembre 2012, non ha mai potuto prendere possesso della diocesi per l’opposizione di natura tribale del clero. Nel 2018 Francesco ha deciso di accettare le sue dimissioni senza nominarvi un nuovo vescovo. Quindi, dopo avergli assegnato una nuova diocesi, quella di Ekwulobia, lo ha rivestito di porpora. Avvenire lo ha intervistato in occasione della sua venuta a Roma per la presa di possesso del suo titolo, quello della parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda a Poggio Ameno.

Eminenza come ha saputo della sua nomina a cardinale?
Nel giorno dell’annuncio ero in visita pastorale in una parrocchia. Alla fine della celebrazione in cui avevo amministrato la cresima a 138 giovani stavo togliendomi le vesti liturgiche quando un cerimoniere si è rivolto a me col titolo di “sua eminenza”. Non gli diedi peso perché mi sembrava una battuta scherzosa. Poco dopo mi chiamò il cancelliere della diocesi e mi confermò la notizia. Gli chiesi quale fosse la fonte, perché pensavo potesse essere una fake news. Comunque continuai la mia visita pastorale. Ma ero già un po’ distratto. Alcuni vescovi cominciarono a chiamarmi per congratularsi. Ci vollero giorni per metabolizzare la notizia. È stata la più grande sorpresa della mia vita e mi ha messo fuori gioco per un po’.

Ha saputo il motivo della sua nomina a cardinale?
Il Santo Padre non mi ha spiegato le ragioni della sua scelta. E io non gliel’ho chiesto. Tutto quello che conosco è la sua sollecitudine per la Chiesa in Ahiara, diocesi della quale fui nominato secondo vescovo nel 2012 ma dove non ho mai potuto esercitare questo ministero fino alla mia rinuncia del 2018.

Lei è stato una “vittima” del tribalismo. Com’è possibile superare questo problema nella società e nella Chiesa?
La sua domanda è interessante. Ma prima di rispondere devo fare due chiarimenti.

La Cattedrale della diocesi nigeriana di Ahiara - .

Il primo?
Non mi sono mai sentito una vittima. Piuttosto, il Signore ha usato questo periodo di crisi per purificarmi e avvicinarmi a Lui. Fino al 2012 ero un prete che cercava di compiere il suo dovere in parrocchia. Subito dopo la nomina il presbiterio di Ahiara pianificò una visita di cortesia. Però, tra le righe, cominciarono a farsi sentire voci discordanti. L’ordinazione fu celebrata il 21 maggio. Dopo la celebrazione tornai alla mia diocesi d’origine, Awka, in attesa che maturasse un consenso per la mia installazione. Questo non è mai accaduto. Così, senza doveri amministrativi, ho avuto abbastanza tempo per pregare, leggere, riposare, mangiare. È stato un periodo molto produttivo per me e li considero anni di grazia. Ero in pace perché sapevo che questa crisi non dipendeva dalla mia persona. Sarebbe accaduto con qualsiasi vescovo nominato non originario della diocesi. È stato un periodo meraviglioso. Ecco perché non posso definirmi una vittima.

Questo il primo chiarimento. Il secondo?
Riguarda il fatto che quanto accaduto ad Ahiara è meglio che sia analizzato in termini di identità e differenza piuttosto che di tribalismo. Infatti tutti noi, me stesso e il popolo della diocesi di Ahiara, apparteniamo all’etnia Igbo. Veniamo dalla stessa tribù, per così dire. Detto questo appare chiaro che quanto accaduto ad Ahiara accade tutti i giorni in tutto il mondo. E questo mostra anche la profondità e la forza dell’enfasi di papa Francesco sulla comune fratellanza e sorellanza di tutte le persone.

Quindi cosa è successo ad Ahiara?
C’è stato il rifiuto di andare oltre un particolarismo sub-etnico per costruire una identità superiore. Io parlo un dialetto Igbo e il popolo di Ahiara ne parla un altro. Ma c’è stato un interesse di alcuni ad insistere sulla differenza e sull’esclusione a quel livello più basso, invece che avanzare nella costruzione di una identità a un più alto livello, non solo nella visione cristiana che considera fratelli e sorelle tutti i battezzati, ma anche al livello della comune appartenenza alla stessa tribù o gruppo etnico.

Come affrontare questo fenomeno?
Bisogna, come ho già detto, prendere seriamente il richiamo di papa Francesco al fatto che siamo fratelli e sorelle nel Signore, che condividono una casa comune, la terra. Solo attraverso questa conversione possiamo imparare ad onorarci e accettarci l’un l’altro come doni dal Signore.

Nei mass media la Nigeria è spesso citata per le cattive notizie. Per esempio per il rapimento di preti. O per i problemi tra cristiani e musulmani. O per la corruzione…
La situazione è semplicemente critica. C’è tanta violenza, non solo contro i preti ma verso il popolo in genere: cristiani, musulmani, tutti. Ad essere rapiti non sono solo i preti. Chiunque può esserlo. I rapitori lo fanno per ottenere un riscatto. Alcuni di loro sono criminali comuni, altri sono motivati ideologicamente. Questi ultimi usano le somme ottenute per procurarsi armi e perseguire i propri scopi. Non mi sembra che i preti siano un target specifico di questo fenomeno, sebbene in alcune parti della Nigeria le sfide che devono affrontare li mettono in prima linea, diventando così bersagli di attacchi. Tali attacchi non avvengono necessariamente perché sono preti, quanto perché difendono a viso aperto gli interessi che hanno a cuore.

Abbiamo parlato prevalentemente delle tristezze della Chiesa in Nigeria. Quali sono le gioie e le speranze?
È vero. C’è molto di cui gioire. Perché la Chiesa in Nigeria è vibrante, e vede il coinvolgimento attivo di molti giovani. Ho letto di recente una ricerca statistica in base alla quale in Nigeria ci sarebbe la più alta percentuale di fedeli che vanno a Messa al mondo. È stata una notizia per me. La Chiesa poi sta molto collaborando nel campo sanitario, nell’educazione e nella responsabilizzazione dei giovani. È interessante che molti preti nelle parrocchie, attraverso meccanismi di risoluzione alternativa dei conflitti, continuano il lavoro di riconciliazione. La Chiesa nigeriana inoltre è molto impegnata nella promozione umana a diversi livelli e nelle opere di carità. Grazie a Dio ci sono ancora vocazioni al sacerdozio. Ci stiamo sforzando per dare a questi candidati una formazione solida in modo che appena ordinati possano essere preti secondo il cuore di Cristo.