I vescovi. Il dialogo tra ebrei e cattolici? Un antidoto alla violenza e radice di pace
Il suono dello shofar, il tradizionale corno, nei riti ebraici viene usato per annunciare, tra l’altro, l’anno giubilare
Sperare vuol dire continuare a dare senso al tempo presente anche di fronte a tutto ciò che pare voler spegnere la speranza. Un orizzonte che si può coltivare imparando a mettersi in ascolto della Parola di Dio. È questo l’orizzonte verso il quale punta il Messaggio della Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo in vista della 36ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che, come ogni anno, si terrà il prossimo 17 gennaio e sarà dedicato al tema «Pellegrini di speranza». Il testo - che pubblichiamo integrale di seguito - quest’anno mette insieme da un lato la storia del popolo di Israele, con la sua capacità di sperare anche nella persecuzione, e dall’altro l’ormai prossimo Giubileo, che diventa occasione per riscoprire le radici della dignità umana, in un tempo segnato da pesanti conflitti e molta incertezza. Il Giubileo, come spiega il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, rappresenta «un desiderio di un mondo che funziona, un desiderio di un mondo giusto. Noi cristiani siamo in attesa di cieli nuovi e terra nuova dove avrà stabile dimora la giustizia – sottolinea il presule –. E in quella direzione noi cerchiamo di fare dei passi di giustizia. Il primo passo della giustizia è dialogare, rimanere in dialogo, costruire ponti. Noi ci auguriamo che sia così e auguriamo che il messaggio abbia questa valenza».
Di seguito il testo integrale del messaggio:
Un nuovo senso delle cose
In un campo di concentramento Etty Hillesum così scriveva: «Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, sarà troppo poco. Non si tratta di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale. Certo non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei; ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà». Ci lasciano senza fiato queste parole. Una giovane donna ebrea, con tutta la vita davanti, non pensa innanzitutto alla sopravvivenza, ma al futuro della società. Lascia in secondo piano l’interesse personale, addirittura un proprio fondamentale diritto, per mettere al primo posto un bene collettivo. Sogna un «nuovo senso delle cose» per un mondo impoverito. Anzi sogna di contribuire a questo nuovo senso delle cose. In quel mondo dilaniato dalla violenza, ferito, carico di odio e di desiderio di vendetta, in quel mondo divenuto tremendamente povero, lei sogna di far germinare uno sguardo nuovo. In questo modo suggerisce a tutte le religioni una strada su cui posizionarsi. Non si tratta di difendere la nostra sopravvivenza nella società occidentale, ma di lavorare per costruire un senso nuovo delle cose. La nostra missione è quella di far germogliare speranza e costruire comunità.
Un cammino di speranza
Il Giubileo è una bella opportunità per la nostra Chiesa per ripartire dalla speranza. Scrive Papa Francesco: «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni» (Spes non confundit 1). Viviamo un tempo carico di minacce. Fatichiamo a guardare avanti con fiducia. Guerre, ingiustizie, crisi climatica, crisi della democrazia, crisi economica, aumento delle povertà... Per sperare abbiamo bisogno di tornare alla Parola di Dio. Lì troviamo la certezza di avere un unico Padre e la promessa di «nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia» (2 Pt 3,13). Sicuramente il Giubileo sarà un tempo propizio per lasciar parlare la Scrittura, anche grazie all’ascolto della lettura dei fratelli e delle sorelle ebrei. Nella certezza che la speranza si genera innanzitutto stabilendo relazioni fraterne. Il Giubileo sarà un cammino di speranza se stimolerà vie di riconciliazione e perdono.
Ripartire per approfondire
In questi ultimi tempi, segnati dal tragico atto terroristico del 7 ottobre 2023, dalla guerra successiva e dall’escalation del conflitto in Medio Oriente, i rapporti tra cattolici ed ebrei, in Italia, sono stati difficili con momenti di sospetto, incomprensioni e pregiudizi. Ma il dialogo non si è interrotto. In Europa sono tornati deprecabili atti di antisemitismo e incaute prese di posizione, a volte anche violente. Proprio per questo il dialogo va rafforzato. Continuiamo a crederci. Sicuramente il dialogo non è semplice anche a causa del passato, dell’«insegnamento del disprezzo» (J. Isaac) e della troppo scarsa partecipazione delle comunità cristiane. È necessario che il dialogo non sia più una questione di nicchia. Come Chiesa cattolica ci auguriamo che l’Anno Giubilare porti al rilancio e all’allargamento del dialogo. Non per “tirare avanti”, ma per approfondire. Riprendendo le parole del cardinale Carlo Maria Martini: «La posta in gioco non è semplicemente la maggiore o minore continuazione vitale di un dialogo, bensì l’acquisizione della coscienza, nei cristiani, dei loro legami con il gregge di Abramo e le conseguenze che ne deriveranno sul piano dottrinale, per la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua missione nel mondo d’oggi». Su tale dialogo si gioca e si giocherà una partita tanto delicata quanto decisiva, anche per il futuro delle Chiese cristiane. Nell’anniversario del Concilio di Nicea come Chiese cristiane dobbiamo riscoprire che il rapporto con l’ebraismo e con le Scritture è fondamentale anche per il cammino ecumenico.
Ripartire dalla Scrittura
Il Giubileo è sempre un tempo di “ripartenza”, un tempo per fermarsi e ripartire guardando con speranza al futuro. Per fare questo è necessario fare teshuvah, cioè ritornare ad attingere alla sorgente. Proprio come si legge nella Dichiarazione conciliare «Nostra Aetate» di cui nel 2025 celebriamo il 60° anniversario: «Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo» (n. 4).
Ci auguriamo che l’Anno Giubilare, alla luce dei tempi che stiamo vivendo, sia la rinnovata occasione per cristiani ed ebrei, di ritornare ai testi biblici letti insieme fraternamente secondo le proprie tradizioni.
La Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo