Chiesa

L'ANNO SACERDOTALE. La gratitudine dei vescovi ai sacerdoti italiani

martedì 8 giugno 2010
Una «parola di gratitudine», l’«invito a perseverare», l’«incoraggiamento»: sono le tre parti del “Messaggio dei Vescovi italiani ai sacerdoti che operano in Italia”, diffuso stamane dalla Conferenza Episcopale Italiana, dopo i lavori della Assemblea generale svolta in Vaticano dal 24 al 28 maggio. Nel testo si afferma anzitutto che «il nostro primo pensiero è sempre per voi, e lo è stato ancora di più in questi mesi. Incalzati da accuse generalizzate, che hanno prodotto amarezza e dolore e gettato il sospetto su tutti, abbiamo pregato e invitato a pregare per voi». «La nostra vuole essere, anzitutto, una parola di gratitudine – prosegue il messaggio – (..) Noi siamo fieri di voi! Il bene che offrite alle nostre comunità nell’esercizio ordinario del ministero è incalcolabile e, insieme ai fedeli, noi ve ne siamo grati».Nel messaggio, i vescovi aggiungono poi l’invito a «perseverare nel cammino di conversione e di penitenza» in quanto «la vocazione alla santità ci spinge a non rassegnarci alle fragilità e al peccato».Affermano quindi che la «irresistibile sollecitazione» che viene dalle parole di Gesù nel Vangelo «ci commuove e ci spinge ad andare avanti, ci aiuta a non adagiarci sulle comodità, a non lasciarci distogliere dall’essenziale, a non rassegnarci a ciò che è solo abituale nel ministero».Nella seconda parte del messaggio, i Vescovi sottolineano che «la Chiesa ci affida il Vangelo che illumina i nostri passi, corregge le nostre derive, ispira i pensieri e i sentimenti del cuore e sostiene il desiderio di bene presente nell’animo di ciascuno». Ai preti chiedono quindi di accogliere «con gioia la sua parola di speranza e di verità, desiderosi di lasciarci educare da lui» certi dell’aiuto divino per «superare anche le tribolazioni di questo tempo, corrispondendo con rinnovato slancio al mandato che ci è stato affidato». Esprimono quindi «una parola di incoraggiamento» sottolineando che Gesù «non ci ha promesso una vita facile, ma una presenza che non verrà mai meno. Senza di lui siamo nulla e non possiamo fare niente; dimorando in lui i nostri frutti saranno abbondanti e duraturi». Infine affermano che «il male non avrà mai l’ultima parola, perché chi si fa carico del proprio peccato può sempre rialzarsi e riprendere il cammino” e concludono assicurando “la comunione del presbiterio, la nostra paternità, la certezza della presenza del Signore Risorto che rende possibile attraversare ogni prova».