Analisi. «Specialmente i poveri e i pellegrini»: la «lezione» dei sei patroni d'Europa
Sei patroni per un continente solo: un’abbondanza di per sé eloquente. Per essere cristiana, e per essere davvero se stessa, l’Europa non può fare a meno di presentarsi come dinamica e plurale, costruita su un’unità che non prescinde dalla differenze e, anzi, le valorizza fino a esaltarle. Anche quello dei santi patroni, del resto, è un edificio che si fonda su un equilibrio sapiente di situazioni storiche, provenienze geografiche e personalità singolari.
Ed è – particolare non trascurabile – l’opera comune di due Papi santi, Giovanni Battista Montini e Karol Wojtyla, che troppo spesso e troppo ingiustamente sono stati contrapposti.
A porre la prima pietra, com’è noto, è Paolo VI, che nel 1964 indica in san Benedetto da Norcia (morto nel 547) il primo, e in quel momento unico, patrono d’Europa. Scelta le cui ragioni sembrano facili da intuire, ma che non va mortificata nella retorica di una Chiesa che si ritrae in sé per fronteggiare la dissoluzione del tessuto politico-sociale.
Benedetto è il genio monastico della stabilitas, che è fedeltà al destino di un luogo, ma non per questo la sua Regola si sottrae al dovere evangelico dell’ospitalità fraterna. Prendiamo questo brano, nel quale riecheggia lo spirito del Magnificat: «Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte, l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé».
«Apri le tue mani per dare elemosine ai poveri e piega le tue ginocchia per lavare loro i piedi» è la raccomandazione che santa Brigida di Svezia (1303-1373) incastona nelle sue Rivelazioni.
La grande mistica del Nord è una delle figure che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, Giovanni Paolo II designa a protezione dell’Europa ormai prossima a entrare nel terzo millennio del cristianesimo. Il risultato è quello che conosciamo: tre uomini e tre donne, equamente distribuiti fra il periodo precedente l’Anno Mille e quello successivo.
La logica del progetto è chiarita da un passaggio particolarmente illuminante della Slavorum Apostoli, l’enciclica del 1985 dedicata ai più orientali dei patroni d’Europa, i fratelli santi Cirillo e Metodio (vissuti nel IX secolo): il loro merito, scrive papa Wojtyla, sta nell’aver impedito che nella Chiesa dell’epoca prevalesse qualsiasi forma di «coercizione» e la «diversità» delle tradizioni culturali non si opponesse «alla mentalità ed alle consuetudini dei nuovi popoli».
Non che possano essere accusati di buonismo, i patroni e le patrone d’Europa. Leggendaria è per esempio la severità di santa Caterina da Siena (1347-1380), che infatti non transige sul precetto della carità. L’anima che abbia conseguito la «purità» al cospetto di Dio, osserva in una lettera alle consorelle, «distenderà l’amore al prossimo suo […]; visitando gl’infermi, sovvenendo e’ poverelli consolando e’ tribolati; piangendo con coloro che piangono, e godendo con loro che godono: cioè piangendo con coloro che sono nel pianto del peccato mortale, avendo loro compassione, offerendo per loro continue orazioni nel cospetto di Dio; e godendo con coloro che godono, che sono veri servi di Cristo crocifisso; e sempre dilettarvi della loro conversazione».
Una lezione non meno impegnativa viene da santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein (1891-1942), tra i patroni d’Europa la più vicina a noi in ordine di tempo.
Ebrea di nascita, filosofa, convertita al cattolicesimo, morì ad Auschwitz, dove era stata deportata nonostante fosse stata da tempo consacrata monaca carmelitana. «Andiamo per il nostro popolo», la frase rivolta alla sorella Rosa al momento dell’arresto, manca forse di adeguata documentazione storica, ma aiuta a comprendere che cosa è stata l’Europa, e che cosa può ancora essere.