Chiesa

Retroscena. Il ruolo delle donne, i seminaristi: i punti più discussi al Sinodo

Gianni Cardinale lunedì 28 ottobre 2024

Papa Francesco al Sinodo dei vescovi

Secondo quanto trapelato dai lavori sinodali sono state due le questioni su cui il dibattito e le riflessioni hanno marcato le maggiori differenze tra le varie sensibilità presenti nell’assise: la questione del ruolo delle donne nella Chiesa e quella dello statuto teologico e dottrinale delle Conferenze episcopali. E in effetti proprio i due paragrafi riguardanti questi temi, pur risultando approvati con la richiesta maggioranza qualificata dei due terzi, hanno ricevuto il maggior numero di voti negativi.

La questione donna, trattata nel paragrafo 60 del documento, è quella che ha avuto la (relativamente) più bassa cifra di consensi: 258 su 355. I voti negativi sono stati invece 97 (il 27,3%: probabilmente la somma di quanti vi hanno trovato troppe novità e di chi al contrario ne ha riscontrate troppo poche). Lo scorso anno il paragrafo più “contestato” (era quello sul “diaconato femminile”) ebbe 69 “no” su 344 votanti.

Nel paragrafo in questione, dopo l’affermazione che le donne «costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese», che esse «contribuiscono alla ricerca teologica» e che «sono presenti in posizioni di responsabilità nelle istituzioni legate alla Chiesa, nelle curie diocesane e nella Curia Romana», si sottolinea la presenza di donne «che svolgono ruoli di autorità o sono a capo di comunità». «Questa Assemblea – prosegue il paragrafo in questione - invita a dare piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo». Discernimento che verrà attuato dalla Commissione presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi e poi dal Gruppo di studio coordinato dal prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il cardinale Victor Manuel Fernandez.

Il tema sui poteri delle Conferenze episcopali è stato trattato nel paragrafo 125 del documento finale, che è stato approvato con 310 “sì” e 45 “no” (il 12,7%). In esso si afferma che le Conferenze episcopali «sono uno strumento fondamentale per creare legami, condividere esperienze e buone pratiche tra le Chiese, adattare la vita cristiana e l’espressione della fede alle diverse culture». Di qui la richiesta «di precisare l’ambito della competenza dottrinale e disciplinare delle Conferenze episcopali», senza però «compromettere l’autorità del vescovo nella Chiesa a lui affidata né mettere a rischio l’unità e la cattolicità della Chiesa». Un siffatto esercizio collegiale di tali competenze infatti «può favorire l’insegnamento autentico dell’unica fede in un modo adeguato e inculturato nei diversi contesti, individuando le opportune espressioni liturgiche, catechetiche, disciplinari, pastorali, teologiche e spirituali». In particolare il paragrofo 125 chiede «di specificare il vincolo ecclesiale che le decisioni prese da una Conferenza episcopale generano, rispetto alla propria diocesi, per ciascun vescovo che ha partecipato a quelle stesse decisioni». Riguardo questo tema è utile ricordare che già nel motu proprio Apostolos Suos del 1998 si riconosceva alle Conferenze episcopali un qualche potere di carattere dottrinale, a determinate condizioni (unanimità o maggioranza dei due terzi con “recognitio” vaticana).

Dei 155 paragrafi che compongono il documento finale solo altri due hanno avuto 40 e più voti contrari. Si tratta del numero 27 sulla liturgia (approvato con 312 “sì” e 43 “no”), in cui si chiede «l’istituzione di uno specifico Gruppo di studio, a cui affidare anche la riflessione su come rendere le celebrazioni liturgiche più espressive della sinodalità», e che «si potrà inoltre occupare della predicazione all’interno delle celebrazioni liturgiche e dello sviluppo di una catechesi sulla sinodalità in chiave mistagogica». Le norme in vigore – seppure a volte disattese – prevedono che le omelie siano obbligatoriamente tenute da ministri ordinati.
Il paragrafo 148 infine è quello che ha è stato approvato con 315 “sì” e 40 “no”. Riguarda la formazione al sacerdozio con la richiesta «di una presenza significativa di figure femminili», e «di una revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis che recepisca le istanze maturate nel Sinodo, traducendole in indicazioni precise per una formazione alla sinodalità».

Il Documento finale è formato da cinque parti. Alla prima - intitolata Il cuore della sinodalità - segue la seconda parte - Insieme, sulla barca di Pietro - «dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri». La terza parte - Sulla tua Parola - «identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione». La quarta parte - Una pesca abbondante - «delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiando profondamente». Infine, la quinta parte - Anch ’io mando voi - «permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria». In conformità alla Costituzione Episcopalis Communio la scelta di papa Francesco di non pubblicare una esortazione post-sinodale ma di approvare espressamente il Documento finale significa - ha spiegato il segretario speciale del Sinodo don Riccardo Battocchio - che questo testo partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro, non con valore normativo, ma dando delle linee di orientamento. «Non è normativo - ha puntualizzato il teologo rettore dell’Almo Collegio Capranica - non significa che non impegna le Chiese» ma indica «una direzione da prendere tutti insieme» in quella «pluralità che caratterizza fin dalle origini l’essere Chiesa di Cristo».