Chiesa

Il racconto. I 90 anni di padre Cantalamessa: «Predicare la Parola è la cosa più bella»

Filippo Rizzi domenica 21 luglio 2024

Padre Raniero Cantalamessa durante una delle prediche di Quaresima

Dalla cattedra universitaria alla Cattolica di Milano a uno dei pulpiti più impegnativi, quello da “predicatore del Papa”. Un percorso compiuto tenendo come stella polare fissa l’annuncio della Parola di Dio, soprattutto nei 44 anni da predicatore della Casa pontificia al servizio degli ultimi tre Papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora Francesco. Un record difficile da eguagliare ma di cui lui non si fa troppo vanto.

Il frate minore cappuccino di origini marchigiane Raniero Cantalamessa, cardinale, domani compirà 90 anni. E in vista di questo compleanno ripercorre i momenti più significativi della sua vita. Da quando, prima di farsi frate, si chiamava Vinicio: «Fui chiamato così in onore del protagonista del romanzo Quo Vadis?», racconta.

Papa Francesco, «che conosco da quando era cardinale e arcivescovo di Buenos Aires», lo ha creato cardinale il 28 novembre 2020, dispensandolo dal ricevere la consacrazione episcopale: «Voglio morire con il mio abito francescano, cosa che difficilmente mi avrebbero permesso se fossi stato vescovo».

Dal 2009, pur mantenendo l’ufficio di predicatore della Casa pontificia, che dal 1743 è da sempre ricoperto da un frate minore cappuccino, padre Cantalamessa ha deciso di vivere assieme ad alcune monache clarisse cappuccine nell’eremo dell’Amore Misericordioso a Cittaducale, nel Reatino, alle porte di Roma e ai piedi del monte Terminillo.

Dal suo album dei ricordi affiorano importanti «compagni di viaggio» come studioso di storia del cristianesimo, da sant’Agostino, a Pascal, da Kierkegaard all’amata Angela da Foligno. Ma anche Lutero. Senza dimenticare il venerato Padre Pio da Pietrelcina. Poi gli uomini di Chiesa con cui ha condiviso lo stesso sentire cum Ecclesia, come il cardinale Carlo Maria Martini con cui era avvezzo intraprendere ardue scalate sulle Dolomiti, nei pressi del lago di Carezza, «discutendo spesso di Sacra Scrittura», o il suo «maestro di sempre» all’Università Cattolica di Milano, il venerabile Giuseppe Lazzati, con cui nel 1969 fu tra i fondatori del Dipartimento di Scienze religiose nell’ateneo e che ricorda ancora oggi come un uomo che «aveva per i giovani, in università e fuori, il carisma del vero educatore».

Padre Raniero del suo Novecento rievoca anche gli anni della contestazione alla Cattolica di Milano, nel ’68 «quando ero un giovane docente di Storia delle origini del cristianesimo», e il suo confronto, per via dei suoi incarichi di teologo, con giganti del pensiero cattolico come Hans Urs von Balthasar o Yves Congar. Ricordi quelli che riemergono da questo colloquio con Avvenire, che sono in parte già racchiusi nel libro intervista pensato per i suoi 80 anni, edito da Àncora nel 2014, Il bambino che portava acqua. «In fondo sono rimasto il bambino di allora – sottolinea oggi Cantalamessa – e raccontai proprio questo particolare in una delle mie prime prediche a Giovanni Paolo II dopo essere stato nominato predicatore della Casa pontificia il 24 giugno 1980. Io ho continuato per tutta la vita a fare quello che facevo da bambino, quando portavo acqua ai mietitori nel campo dei nonni durante la Seconda guerra mondiale. È cambiata solo l’acqua che porto – la Parola di Dio – e sono cambiati i mietitori tra i quali, per oltre 40 anni, ci sono stati tre pazientissimi Pontefici Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora Francesco».

Dice padre Raniero pensando alla longevità del suo incarico come predicatore della Casa pontificia: «A precedermi in questo prestigioso ufficio per vent’anni fu il mio confratello frate Ilarino da Milano, al secolo Alfredo Marchesi nominato da Giovanni XXIII... Io sono al quarantaquattresimo anno di attività. Calcolando in media otto prediche l’anno, tra quelle di Avvento e quelle della Quaresima, risultano 352 prediche, corrispondenti a tantissime ore del tempo del Papa. Una bella responsabilità! Quando qualcuno mi chiede il perché di questo, rispondo, e non sto solo scherzando, che il motivo è che i Papi si sono probabilmente resi conto che quello è il posto dove il padre Cantalamessa può fare meno “danno” alla Chiesa».

Predicatore di razza, in questi oltre 40 anni padre Cantalamessa è stato spesso chiamato a proporre le sue meditazioni ad assemblee protestanti (tra queste quelle dei pentecostali, luterani e anglicani) anche per la sua capacità di spiegare la figura della Madonna a chi cattolico non è. Ricorda, per esempio, come se fosse ieri il Sinodo generale della Comunione anglicana del 2015, in cui tenne un sermone nell’abbazia di Westminster a Londra: «La regina Elisabetta fece notare la novità. Se un prete cattolico era stato invitato a predicare a Westminster, disse, voleva dire che qualcosa stava davvero cambiando tra i cristiani».

A segnare profondamente questo mite frate cappuccino – che, come il suo confratello Mariano da Torino, ha accompagnato anche tanti telespettatori della Rai con le sue meditazioni e la sua proverbiale frase «Pace e bene,» nelle trasmissioni dedicate all’informazione religiosa – è stato l’anno 1977, ovvero l’incontro con il Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS). Un evento da lui spesso descritto quasi come un secondo Battesimo. «È stata la grazia più grande della mia vita, dopo il Battesimo, la professione religiosa e l’ordinazione sacerdotale – confida – una grazia che ha rinnovato e rinvigorito tutte le grazie precedenti, un incontro che raccomanderei a tutti di fare, ognuno nel modo e secondo l’occasione che lo Spirito gli offre».

Tra le tante istantanee il cardinale rammenta i suoi incontri con Giovanni Paolo II, «un Papa da me conosciuto da vicino, essendo stato suo collaboratore per 25 anni, dei suoi 27 di pontificato». E tornano alla mente le meditazioni che Cantalamessa pronunciò per l’ultima Quaresima di papa Wojtyla, quella del 2005. «Giovanni Paolo II, come si sa, era gravemente infermo e morì poco dopo la Pasqua, il 2 aprile – ricorda Cantalamessa –. Durante la Quaresima le sue condizioni erano peggiorate ed era stato ricoverato al Policlinico Gemelli. Ma un paio di volte mi chiese, attraverso il suo segretario Stanisław Dziwisz, che gli inviassi per fax il testo delle meditazioni sull’Eucaristia che stavo tenendo, in sua assenza, alla Curia. Il 18 marzo, nove giorni prima della sua morte, ricevetti una lettera con la sua firma in cui mi ringraziava di cuore “per la ricchezza di spunti meditativi che ha saputo offrire e per l’afflato spirituale con cui li ha presentati”».

Come certamente significativo per il porporato cappuccino è stato l’incontro e la collaborazione con il papa teologo, Benedetto XVI. Che ricorda così: «Papa Ratzinger, che anche da cardinale era tra i più assidui partecipanti alle mie prediche, mi confermò nell’ufficio e ho avuto l’onore di predicare alla sua presenza fino all’Avvento del 2012. Avevo preparato per lui anche le cinque meditazioni della Quaresima del 2013, ma sono rimaste nel cassetto, a causa della sua rinuncia al ministero petrino».

Tra i particolari doni ricevuti da papa Francesco ve n’è uno in particolare che padre Cantalamessa custodisce, anche se è stato un dono indiretto: l’aver canonizzato nel 2013 la sua amata Angela da Foligno, la terziaria francescana vissuta tra il 1248 e il 1309. «Per ringraziarlo, gli ho scritto un biglietto in cui ho ricordato la promessa che un giorno Gesù fece ad Angela: “Io benedirò perfino chi ti sentirà nominare”, e ho aggiunto: “Che cosa farà dunque per chi l’ha posta addirittura sul candelabro più alto della Chiesa?”».

«Ringrazio Dio di avermi dirottato dalla cattedra universitaria al pulpito» conclude padre Cantalamessa, «certamente non condanno lo studio e la ricerca, ci mancherebbe, anzi, la mia esperienza universitaria si è rivelata importantissima al fine della predicazione. Ma di sicuro predicare la Parola di Dio è la cosa più bella che ti possa capitare, perché sai di annunciare la buona notizia, la verità. Sai di non ingannare la gente. Per me è stata una vocazione, della quale sono molto felice, ma, ripeto, bisogna stare attenti: si può predicare l’umiltà ed essere superbi!».