Quota 2424, questa dal 18
maggio sarà Cima Giovanni Paolo II, sul massiccio del Gran Sasso. Quassù
il silenzio ti avvolge. Solo il soffiare del vento e il canto delicato
del fringuello alpino. Attorno tanta neve. Candida neve che copre ancora
rocce e pascoli malgrado la primavera inoltrata. Improvviso un falco pellegrino
compare in picchiata. È un attimo, come in un attimo mi era apparso durante
la salita. Fermo a mezz'aria, battendo le ali controvento, nella posizione
detta dello «Spirito Santo» perché ricorda l'immagine tradizionale presente
in tante nostre chiese. Forse un segno. Forse sono un caso. Ma è bello
pensare ad un saluto venuto dal cielo in questa giornata di ricordo di
Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla amava queste montagne abruzzesi. Più volte
le ha percorse camminando e sciando. Le sue «scappatelle». Ma soprattutto
il suo speciale rapporto con la montagna e con la sua natura. Proprio il
«silenzio della montagna» e «il candore delle nevi», gli stessi di oggi,
«ci parlano di Dio», diceva il 20 giugno 1993 nel suo discorso per la benedizione
della chiesetta di Nostra Signora della neve a Campo Imperatore, proprio
sotto il Gran Sasso. «Ci additano ? aggiungeva ? la via della contemplazione,
non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche
quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti».
Montagna come «parola del Signore». Soprattutto questa abruzzese, così
aspra e solitaria. Qui si fatica e si pensa. Per questo Karol Wojtyla la
amava molto. Ma anche gli abruzzesi lo amavano, anzi lo amano. Così in
preparazione del suo 85mo compleanno, avevano deciso, amministrazione comunale
e Cai de L'Aquila in testa, di dedicargli una vetta del massiccio del Gran
Sasso. La scelta era caduta su un torrione di roccia, tra la cresta delle
Malecoste e il pizzo Cefalone, chiamato da sempre «Gendarme», nome che
si dà di solito ai roccioni posti di guardia ad altre vette. Zona poco
conosciuta, ma non da Giovanni Paolo II che era venuto più volte a pregare
nella piccola chiesa di San Pietro della Jenca, a quota 1166, nel comune
di Assergi, da cui ora parte il «sentiero Wojtyla» che porta in 4-5 ore
in vetta. Niente di particolarmente difficile. Buone gambe. Fiato allenato.
E tanto amore per la montagna. Il sentiero sarà inaugurato lo stesso giorno
in cui verrà intitolata la cima a Giovanni Paolo II, il 18 maggio. In quello
che sarebbe stato l'85mo compleanno di papa Wojtyla. A ricordarlo sarà
una croce posta in vetta, alta 2,30 metri e pesante 500 chili, con le immagini
in ceramica di Giovanni Paolo II e dei quattro patroni de L'Aquila: San
Massimo D'Aveia, San Equizio Amiternino, San Pietro Celestino V, San Bernardino
da Siena. E papa Wojtyla era molto contento di questo «regalo» abruzzese.
Il 17 marzo, attraverso il sostituto alla segreteria di Stato monsignor
Leonardo Sandri fece sapere di accogliere «con riconoscenza l'iniziativa»,
aggiungendo di essere «sempre memore delle numerose escursioni compiute
in tale località montana». Gli sarebbe piaciuto molto il «suo» sentiero.
All'inizio è costegiato dai biancispino in fiore. Poi i ginepri, la rosa
canina, il pino mugo. E poi ancora fiori, tanti fiori. Più a valle le piccole
orchidee gialle e rosa, le violette del pensiero, i nontiscordardime. Più
in alto un tappeto di crochi e genzianelle. Non mancano le poiane i gracchi
alpini e altri animali. Ma a dominare è lei, la montagna. La roccia, la
neve. E queste interminabili salite. Una sfida, la definiva Giovanni Paolo
II. «Chiede sacrificio ed alleamento. Obbliga a lasciare la sicurezza delle
valli, ma offre a chi ha il coraggio dell'ascesa gli spettacoli stupendi
delle cime. Essa ? commentava ? è pertanto una realtà fortemente evocativa
del cammino dello spirito, chiamato ad elevarsi dalla terra al cielo, fino
all'incontro con Dio». E la Cima Giovanni Paolo II è proprio così. Il lungo
cammino, ben 1300 metri di dislivello da affrontare di buon mattino, anche
per godere appieno i colori, i suoni, i profumi. La fatica della "sfida"
su sentieri certo non agevoli (ma in montagna si deve faticare, altrimenti
che montagna sarebbe). Ma poi la gioia, sì proprio gioia della vetta. Quel
silenzio che invita a rifettere e pregare. Lo faceva Papa Wojtyla. L'ho
fatto io oggi pensando e pregando lui, ora che il Dio delle montagne lo
ha chiamato alla vetta del cielo. Una preghiera soprattutto per chi soffre
e per chi non potrà mai godere questi momenti. Un pensiero a mia moglie
e ai miei figli, poi zaino in spalla per la lunga discesa. Col cuore e
l'anima ricaricati. E negli occhi quel Papa con gli scarponi che guardava
le sue montagne.