«3 giugno 1963. Mio amatissimo monsignore, Sentito il suono delle campane e vista passarmi davanti agli occhi la rievocazione della vita del nostro amatissimo Santo Padre, interrompendomi di quando in quando col pianto, ho bisogno di trovare un cuore che gli abbia voluto il mio stesso bene[…]. E sono certo che questo cuore è il suo […] L’orologio mi segna le ore 10.25 (22.25). Questa mia lettera è breve e spezzata. Più tardi, ancora le scriverò più a lungo. Intanto riceva l’unita mia postulatoria che avevo preparata, ma non potevo datare che dal momento della morte, in obbedienza al dogma della perseveranza. Lei troverà il modo di trasmetterla. Voglio essere il primo e chiedere la canonizzazione del nostro santo. In osculo Domini, aff.mo Alberto Canestri». Giovanni XXIII era appena spirato ed ecco l’antico compagno di studi, canonista, indicare già la meta degli altari. In realtà il desiderio di arrivare ad una rapida canonizzazione di papa Roncalli, nacque proprio ai primi di giugno del ’63: quando l’affetto manifestato da milioni di persone durante un’agonia seguita in tutto il mondo attraverso la radio e il piccolo schermo, accese petizioni presto arrivate persino in Concilio. In quella sede, primo ad avanzarla tale richiesta, Bohdan Bejze, trentaquattrenne vescovo polacco, pronto a invocare un riconoscimento per acclamazione. Com’è noto , Paolo VI avrebbe preferito seguire l’ iter ordinario che vide poi la beatificazione di Giovanni XXIII il 3 settembre 2000.