Falabretti (Cei). Giovani, c'è una speranza nel cielo dell'Avvento
Tira aria di bassa pressione, lo sconforto è diffuso. Eppure quando Isaia scriveva "cercate il Signore mentre si fa trovare" - capitolo 35 - il popolo stava vivendo l'esperienza dell'esilio. Ma si sa: l'esilio di Israele è troppo lontano, buono per qualche esortazione che svanisce alla prova della realtà. Così la bassa pressione sta invadendo la vita pastorale: dopo mille fatiche per tornare alla iturgia in prsenza, per non lasciare soli i ragazzi durante l'estate, dopo aver attrezzato l'oratorio per la catechesi, tutto rischia di vivere il gelo dell'inverno.
Però si avvicina l’Avvento, tempo per eccellenza di attesa e speranza (che per gli ambrosiani è già iniziato). Perché non provarci? Questo Avvento/Natale sarà unico. Di sicuro perché tutti desideriamo di poter vivere il prossimo senza mascherine, ma c’è dell’altro. Negli anni 70, quando ero un bambino, sentivo dire dalla catechista che «il Natale non è il panettone». In questo senso niente è cambiato in meglio: il mercato è dilagato sempre più e l’attesa si è tradotta in infinite passeggiate nei centri commerciali. Tutto per ora è rallentato: questo Avvento sarà unico perché si è stesa una prateria dove poter far correre l’annuncio dell’attesa e della speranza. L’Avvento e il Natale hanno in sé un contesto narrativo di potente suggestione: ce ne stiamo accorgendo? Se non cogliamo questa occasione, il rischio è di perdere l’opportunità di rimanere connessi alla vita delle persone e quindi cadere nell’impossibilità di legare il Vangelo a questo tempo.
Qualche cosa già si vede: molti uffici pastorali stanno mettendo online percorsi e iniziative; alcune sono molto belle e curate, possono sostenere davvero la possibilità di camminare insieme. La lezione degli ultimi mesi chiede però di fare un salto: quello che permette alla rete di non essere soltanto un mezzo per poter dire quello che ci interessa, ma un ambiente dove vivere un’esperienza educativa. Cosa vuol dire?
Secondo i vecchi schemi, di solito si prepara del materiale (spesso anche di ottima qualità) da “somministrare” ai ragazzi e alle famiglie. Trasformare la rete in un ambiente significa, invece, provare a sfruttarne le potenzialità per creare scambi e legami e far sentire vicine le persone dentro un cammino comune. Perché accada è necessario che la comunicazione non sia solo il parlare di preti, testimoni o educatori, ma che avvenga una vera e propria irruzione nelle case del parroco o del viceparroco, della catechista e degli animatori. E soprattutto che la loro connessione in videoconferenza non si trasformi in un’ulteriore predica ma provi a proporre attività che portino a una condivisione in famiglia e a uno scambio nel gruppo dei ragazzi. In questo modo, un po’ alla volta, tutti diventano protagonisti e si evita di presentare l’esperienza cristiana solo come la partecipazione passiva a una performance del predicatore di turno.
Una catechista che entra nelle famiglie dei ragazzi del suo gruppo attraverso una chat è un messaggio potente: la comunità non è fatta solo dal prete. Il fatto che non impartisca solo “la lezione”, ma interagisca anche solo per pochi minuti con una famiglia, stabilisce relazioni di comunità. Che affidi un’attività da realizzare in casa ne fa un animatore che muove e responsabilizza a percorsi familiari. Che chieda una restituzione (testi, immagini, video) da pubblicare su un profilo parrocchiale o di piccolo gruppo crea una condivisione che può rimandare anche a momenti di vita comunitaria in presenza, soprattutto la celebrazione eucaristica. Un gruppo di adolescenti e di giovani, può fare dall’incontro in chat fino a un cineforum per discutere su un film a tema.
Insomma, questo non può essere il tempo del lamento. Si apre un laboratorio interessante, che potrebbe persino offrire spunti per il futuro. Agli italiani non manca certo la creatività: la speranza è che queste righe siano soltanto una piccola scintilla che liberi una luce che si accende. È Avvento: la speranza ci chiama.