30 giugno. Giornata per la Carità del Papa, la nostra mano con quelle di Francesco
Domenica 30 giugno migliaia di parrocchie italiane si mobilitano per raccogliere le offerte dei fedeli alle Messe domenicali nell’annuale Giornata per la Carità del Papa. La speciale colletta è destinata a sostenere i piccoli e grandi interventi di solidarietà verso malati, poveri, famiglie in difficoltà, per dare vita e opere sociali, o intervenire in soccorso di popoli provati da calamità naturali e guerre. Contribuisce alla raccolta anche la vendita delle copie di Avvenire nelle parrocchie e nelle edicole: come accade ormai da alcuni anni in questa Giornata, il ricavato viene interamente devoluto alla Carità del Santo Padre.
Ma come funzione la Carità del Papa, e dove interviene concretamente?
Un contributo di 100mila euro per le regioni nord-orientali e meridionali dell’Iran. Mezzo milione di dollari per l’assistenza ai migranti in Messico. Un aiuto di 50mila dollari per il sostegno delle popolazioni del Nepal che ancora oggi soffrono le conseguenze dei devastanti terremoti che colpirono il Paese tra aprile e maggio del 2015. Centomila euro come contributo all’opera preziosa della Caritas Hellas a favore di richiedenti asilo e rifugiati ospitati in Grecia. Sono questi alcuni degli interventi finanziati con le offerte di fedeli raccolte nella domenica più prossima alla solennità dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, quando si celebra la Giornata per la carità del Papa e si può offrire quello che viene storicamente chiamato l’Obolo di San Pietro.
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L’Obolo è un gesto di fraternità con il quale ogni fedele può partecipare all’azione del Papa a sostegno dei più bisognosi e delle comunità ecclesiali in difficoltà, che si rivolgono alla Sede Apostolica. Quella dell’Obolo è una storia antica e moderna allo stesso tempo. Antica perché ha radici evangeliche. I primi cristiani che si riunivano intorno agli apostoli mettevano infatti in comune le loro sostanze per venire incontro alle necessità dei fratelli più deboli e bisognosi ed è nell’ottavo secolo comunque che gli anglosassoni “inventano” il cosiddetto Denarius Sancti Petri a favore del successore di Pietro. Moderna perché l’Obolo così come lo conosciamo oggi è stato normato dal beato Pio IX con l’enciclica Saepe venerabilis emanata nel 1871, dopo che la Santa Sede si era trovata in uno stato di particolare debolezza e vulnerabilità materiale in conseguenza della fine dello Stato pontificio.
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Così nel giorno della solennità dei santi Pietro e Paolo, o nella domenica più vicina, ogni singolo fedele è invitato ad offrire il suo contributo nella chiesa dove partecipa alla Messa, piccolo o grande a seconda della propria disponibilità e generosità, in favore del Papa. E questo invito riguarda tutte le comunità e non solo quelle più facoltose. L’Obolo è nella immediata disponibilità del Papa che lo distribuisce a seconda delle necessità. Direttamente o attraverso organismi come la Segreteria di Stato, il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e altri ancora, mentre l’Elemosineria apostolica utilizza per lo più elemosine fatte giungere direttamente al Papa. Solitamente il Pontefice fa arrivare il suo aiuto in casi di calamità naturali o a Chiese locali e popolazioni particolarmente provate.
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L’Obolo viene raccolto a Roma con la collaborazione dei soci del Circolo San Pietro. Ulteriori informazioni sull’Obolo si trovano sul sito vaticano www.obolodisanpietro.va dove si ricorda che questo tipo di offerta non è soltanto un gesto di carità, un modo di sostenere l’azione del Papa e della Chiesa universale a favore specialmente degli ultimi e delle Chiese in difficoltà, ma anche «un invito a prestare attenzione ed essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, a porli al centro del cammino delle comunità ecclesiali». Perché, come ha scritto papa Francesco nella «Evangelii gaudium», «piccoli ma forti nell’amore di Dio, come san Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo».