Chiesa

INTERVISTA. Tettamanzi: «Gioia e fedeltà, lo stile dei santi»

Lorenzo Rosoli giovedì 26 maggio 2011
Una carità fedele e gioiosa. È il cuore della santità dei tre nuovi beati – don Serafino Morazzone, suor Enrichetta Alfieri, padre Clemente Vismara – che vengono proclamati stamani in piazza Duomo, nel cuore di Milano. La grande festa della beatificazione è l’occasione per guardare alle sfide e alle speranze della città e della Chiesa ambrosiana, ai «cantieri» pastorali e sociali che la attraversano, ai grandi eventi – come l’Incontro mondiale delle famiglie del 2012 con Benedetto XVI – che la chiamano all’impegno. Avvenire lo fa con questa intervista al cardinale arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Da nove anni sulla cattedra di Ambrogio. «Con umile franchezza», racconta volgendo lo sguardo a questi nove anni, «posso confessare che ho sempre cercato di pensare, giudicare e agire avendo come criteri il santo Vangelo e le esigenze più profonde e vere del cuore di ogni uomo e di ogni donna». Criteri validi per ogni battezzato. D’ogni tempo e condizione. Come insegnano anche i nuovi beati.Don Morazzone, suor Alfieri e padre Vismara sono figure profondamente diverse per storia, personalità, «carisma». Accostandoli fra loro, tuttavia, è possibile cogliere qualche tratto peculiare, attuale, fecondo, del «modo» tipicamente ambrosiano e lombardo di essere cattolici, di vivere il Vangelo, di divenire santi?Vedo come tratto di attualità e di «ambrosianità» il desiderio intenso dei tre beati di prendere sul serio il vissuto quotidiano nella sua concretezza per viverlo non in modo banale, stanco, ripetitivo ma inserendovi qualcosa di grande, di straordinario. Questo «qualcosa» è lo spendersi per gli altri con amore: con l’amore-carità, che sprigionatosi dal cuore di Dio ha raggiunto il loro cuore per rinnovare quello degli altri, dei bisognosi e sofferenti che hanno incontrato sulla strada di ogni loro giornata. I tre nuovi beati, ciascuno secondo la propria vocazione, hanno incarnato quella che Giovanni Paolo II amava chiamare «la fantasia della carità».Guardando alle coordinate storiche, geografiche, ecclesiali delle vicende dei nuovi beati, questi possono apparire «lontani» dalla vita concreta dei fedeli di oggi. Guardando più attentamente, invece, che cosa li rende nostri «vicini», nostri «contemporanei», veri amici e compagni di strada?Non possono non esserci vicini e contemporanei perché le loro strade sono esattamente le nostre: le strade, dicevo, della carità quale sorgente e contenuto della santità. In particolare il volto della carità di questi nostri beati mi pare abbia, tra gli altri, il tratto della fedeltà e della gioia. La loro è stata una carità fedele: di una fedeltà che hanno vissuto nelle piccole cose d’ogni giorno – da parroco, da suora, da missionario – e che ha reso «grandi» in senso evangelico i loro sentimenti e i loro gesti: sempre! E questa è lezione importantissima per noi affinché non ci arrendiamo di fronte alle difficoltà e alle prove e, positivamente, rendiamo più mature e feconde le nostre scelte quotidiane, in risposta coerente e generosa alla chiamata del Signore. È la loro una carità segnata dal tratto della gioia, del sorriso, della serenità. Quando il cuore dell’uomo è ricolmato della gioia di Cristo risorto e vivo, egli non può trattenerla e viverla egoisticamente. Ma in modo contagioso diviene gioia comune, condivisa.Le beatificazioni di oggi si offrono quale culmine e coronamento di un anno pastorale che la Chiesa ambrosiana ha dedicato al tema della santità – vocazione di tutti i battezzati – nella memoria del IV centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo. Come ha risposto la comunità diocesana a questa proposta? Quali difficoltà e quali «risorse» avete incontrato lungo questo itinerario?Le «risorse» che si sono sprigionate in quest’anno pastorale – ritmato dalla lettera a tutti i fedeli della Chiesa ambrosiana «Santi per vocazione» – le conosce perfettamente solo il Signore, che però ci dona di intuirne qualcuna. Penso alle Via Crucis nelle sette Zone della diocesi con la stessa croce che fu portata da san Carlo durante la famosa peste della città di Milano. Ma penso anche ai pellegrinaggi numerosi e partecipati delle comunità al Duomo per venerare il corpo del santo. E penso, non meno, ai pellegrinaggi spirituali del cuore di ciascuno grazie alle proposte pastorali della diocesi che hanno continuamente richiamato alla singolarissima testimonianza di santità di san Carlo. Il desiderio di santità ha anzitutto mosso alla conversione il Borromeo stesso. La sua quotidiana contemplazione e l’amore appassionato per Cristo crocifisso in tempi difficili per la fede hanno inciso sulla riforma della Chiesa intera. San Carlo fissava costantemente lo sguardo al Cristo crocifisso del Calvario e lo abbassava verso il Cristo crocifisso che ritrovava nelle «ferite» d’ogni genere che colpivano l’anima e il corpo di tanti fratelli e sorelle che incontrava. Anche a noi, oggi, il Signore pone lungo le nostre strade persone bisognose di vicinanza e aiuto, di consolazione e speranza di vita. Accogliere e vivere l’amore di Cristo in croce è la prima scintilla di santità, la sola credibile e capace di illuminare e rinnovare gli altri.La Chiesa ambrosiana, come la città di Milano e il territorio lombardo, attendono due eventi – ciascuno a suo modo – storici: il VII Incontro mondiale delle famiglie nel 2012; le celebrazioni per il 1700° anniversario dell’Editto di Costantino, nel 2013. Quale sfida rappresentano per la comunità ecclesiale, le istituzioni, la società civile? Quali energie e risorse stanno mobilitando? Quali «doni» possono dischiudere alla Chiesa e alla «città dell’uomo»?Li chiamiamo giustamente «eventi» per la loro oggettiva importanza che travalica la nostra diocesi e la nostra città di Milano e per la mobilitazione di energie, creatività, relazioni a vastissimo raggio, collaborazioni a livello europeo e mondiale che provocano. Urge anzitutto la presa di coscienza d’una grande responsabilità che tutti ci interpella: Chiesa e società; nei valori in gioco e nelle scelte concrete da assumere. L’incontro mondiale delle famiglie il prossimo anno, con l’attesa presenza del Santo Padre Benedetto XVI, è destinato a far riscoprire e a rilanciare la «soggettività» della famiglia nell’ambito e della Chiesa e della società, e quindi a rilevarne i «diritti» sacrosanti e le «risorse» feconde come base e sprone di una «politica» e di una «pastorale» coerenti. Tutto questo nel particolare intreccio di due fondamentali momenti di vita e di crescita della famiglia: il lavoro e la festa. «Milano è famosa in tutto il mondo per la data del 313»: così mi disse a Mosca il compianto patriarca Alessio II. È dunque la città stessa, con le sue istituzioni e la società civile, a doversi coinvolgere direttamente nella celebrazione di una data così significativa. Sarà una straordinaria occasione per mettere a tema e approfondire il rapporto tra religioni e società. È infatti il doveroso riconoscimento dello spazio pubblico della religione che conduce a difendere e a promuovere la libertà religiosa, quale fondamento di ogni altra libertà. E questo dappertutto, e in specifico riferimento alle variegate situazioni esistenti nel nostro mondo: lontano e vicino a noi. È questa una sfida che a Milano si pone in modo originale: occorre far dialogare, nel reciproco rispetto, la bimillenaria e vivissima presenza cattolica con le altre confessioni cristiane presenti da tempo e con le altre religioni giunte in città con i fenomeni migratori di questi decenni.Sullo sfondo del 2015 c’è l’Expo. Quale sfida è per la città e la Chiesa di Milano?Dell’Expo rilevo, ancora una volta, la sua straordinaria opportunità per Milano. Una condizione, però, è da rispettarsi: quella di rimettere al centro i contenuti di un tema così strategico quale è «Nutrire il pianeta, Energia per la Vita». Ma sarà ancora maggiore l’opportunità per Milano se ogni sua componente saprà collaborare, come in un gioco di squadra, a farne una «capitale mondiale dell’incontro». Sono sicuro che la Chiesa ambrosiana può giocare un ruolo prezioso a favore della «città dell’uomo», sviluppando sempre di più il senso autentico della sua «cattolicità», della sua apertura al mondo. Ce lo ricorda in modo semplice ma efficace la vita del nuovo beato, padre Clemente Vismara, spesa per sessantacinque anni nella sperduta missione del Pime in Birmania. Il suo è un messaggio luminoso di un cuore che ama senza chiusure e che ha come confini quelli stessi del mondo intero. Chi può contare i bambini e i ragazzi che il missionario ha salvato e ha nutrito con il pane e con il suo amore paterno? Chi può imitare la qualità morale del suo proporre con fedeltà e coraggio il Vangelo di Gesù, unico e universale salvatore dell’umanità, in un contesto dove ad essere di gran lunga maggioranza erano altre religioni? Chi può dirsi «padre e madre di vita» come Clemente Vismara che ha fatto di tantissimi orfani una vera grande famiglia?Tante volte, eminenza, ha chiesto alla Chiesa, alle istituzioni e alla società civile di aprire «cantieri» dove costruire il bene vero dell’uomo e della comunità, di lanciare «ponti» oltre i muri di sofferenza e ostilità che hanno traversato la carne di questa città – muri fra il centro e la periferia, fra generazioni diverse, fra ricchi e poveri, fra garantiti e precari; fra persone e gruppi diversi per nazionalità, razza, fede... Ritiene che le sue parole e i suoi gesti abbiano trovato ascolto?La vitalità delle comunità cristiane della diocesi ambrosiana è ben sintetizzabile nell’immagine proposta del «cantiere». Esso è un’occasione dove la perenne novità del Vangelo entra nella storia e la rinnova grazie alle fede operosa dei discepoli del Signore. Dove la Parola, lo Spirito e la fede agiscono, lì si apre un «cantiere». Chi mai potrà contare il numero di questi luoghi e segni di vitalità cristiana? Nello specifico, diversi «cantieri pastorali» hanno interessato la diocesi come tale in questi anni: il nuovo Lezionario ambrosiano, la sperimentazione della rinnovata Iniziazione Cristiana, le nuove forme della pastorale giovanile, l’avvio delle Comunità pastorali, le nuove modalità di inserimento nel ministero dei sacerdoti novelli... Come ogni cantiere, nella fase dell’avvio e del lavoro sono le fatiche e i disagi ad essere notati maggiormente: solo quando l’opera è terminata (e più il progetto è grandioso e più tempo è necessario) si apprezza la bellezza di quanto si è realizzato. Nell’ultimo «discorso alla Città» in occasione della festa di sant’Ambrogio, parlavo anche di «cantieri sociali»: luoghi di impegno dove tutte le forze positive operanti nella società convergono, ciascuna secondo la propria competenza e ruolo, per operare il bene a favore del territorio e delle persone che lo abitano, specialmente le più deboli. Lei mi chiede, inoltre, se le mie parole e i miei gesti hanno trovato ascolto. Non spetta a me fare bilanci dei nove anni del mio episcopato ambrosiano. Posso confessare con umile franchezza che ho sempre cercato di pensare, giudicare e agire avendo come criteri il santo Vangelo e le esigenze più profonde e vere del cuore di ogni uomo e donna.