Il vescovo. Camisasca: gay, «equivoci no, dialogo sì»
Il vescovo Massimo Camisasca
Le parti di frasi del Papa tratte dall’intervista della vaticanista Valentina Alazraki per l’emittente Televisa, trasmessa in Messico il 28 maggio 2019, ora rimontate nel docufilm Francesco di Evgeny Afineevsky appena presentato alla Festa del Cinema di Roma hanno suscitato un’eco mondiale, con reazioni di ogni tenore. Incluse quelle di chi ha pensato a una “svolta” nel magistero e ha espresso, a seconda delle estrazioni, perplessità o entusiasmo. Come tanti in questi giorni, ci ha molto riflettuto anche monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, che si è sentito interpellato da tanta gente come pastore, per capirle meglio.
Lei come le legge?
La prima parte delle parole del Papa riguarda il diritto di un ragazzo con orientamento omosessuale a rimanere nella propria famiglia, ma soprattutto a essere considerato dai propri genitori, parenti e amici come persona, figlio di Dio e sua immagine. Come persona destinata alla vita eterna e alla gioia possibile sulla terra, persona che non deve essere dileggiata o calunniata. Già questa prima frase – nella versione offerta dal film – è risultata stravolta: si è parlato di un diritto alla famiglia come se fosse il diritto a formare una famiglia. Non dimentichiamo che in America Latina (il Papa in realtà ha pronunciato quelle parole di fronte a una giornalista messicana) ancora molti giovani con orientamento omosessuale sono allontananti dalla casa.
Entriamo nel merito dei temi sollevati dalla diffusione di alcune parole del Papa sulle relazioni tra persone dello stesso sesso. Da vescovo che da tempo ha aperto un dialogo con le persone omosessuali, come dev’essere il rapporto tra dottrina della Chiesa e prassi pastorale?
È di fatto un tema nuovo, non tanto perché la Chiesa non l’abbia mai affrontato ma perché si sta ponendo in un modo nuovo di fronte alle persone con orientamenti omosessuali. È ciò che accennavo sopra. Nello stadio attuale penso che sia bene ascoltare tutto ciò che queste persone vogliono comunicare (profondità di affetti, attese, speranze, proteste...) e ricordare loro il pensiero della Chiesa come è espresso nel Catechismo. Non come una pietra sulla loro vita, ma come un possibile orizzonte a cui aprirsi con la grazia di Dio, sapendo che la natura di ciascuno è piena di cadute, ma anche di risurrezioni. È un cammino in avanti che dobbiamo ancora scrivere e che non avverrà mai se ci chiuderemo alle persone e se annacqueremo l’antropologia cristiana. Non pensiamo di poter risolvere tutti i problemi.
Un altro tema chiave proposto dal docufilm è la disciplina di legge per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Il Papa si dice favorevole a una forma di tutela legale: lei cosa pensa?
È la seconda parte della frase del Papa, che riguarda la ley civil, il tentativo operato da Jorge Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires di opporsi alla equiparazione tra matrimonio naturale e unione tra persone dello stesso sesso, attraverso il riconoscimento di diritti essenziali. In Italia la Cei si è opposta alle unioni civili perché i diritti della persona erano già riconosciuti e perché troppo forte era il rischio che una legge sulle unioni civili indebolisse l’istituto del matrimonio già fortemente in crisi. Io non sono contrario a una tutela legale, purché si chiamino le cose con il loro nome.
I figli: è noto che una parte delle forze che hanno sostenuto l’approvazione della legge italiana sulle unioni civili chiede l’estensione della piena genitorialità. Qual è il suo pensiero?
Il mio pensiero è assolutamente contrario. I genitori sono un padre e una madre, non due padri o due madri. Se accettassimo questo andremmo contro tutta la saggezza di tante correnti di studi psicologici raccolte in molte tradizioni tra cui quella cristiana, che ci indica l’importanza dalla figura maschile e di quella femminile, soprattutto nei primi tempi di vita della persona. Certo, un padre o una madre possono morire presto, ma questo non giustifica lo stravolgimento del loro posto nella crescita del bambino.
Che passi sta compiendo la Chiesa nei confronti della condizione omosessuale e delle relazioni affettive? E quali vanno ancora compiuti?
Sta sempre più prendendo coscienza della persona omosessuale come persona e si sta interrogando sul significato delle relazioni affettive tra due persone omosessuali. Risposte definitive ancora non ce ne sono. Sono certo che se avremo la pazienza di camminare ascoltando le persone, senza tradire la Parola di Dio, si apriranno nuove strade. L’errore più grosso è cadere nell’equivoco che per raggiungere l’uomo occorra aderire alla mentalità mondana o annacquare la profondità della Parola di Dio.
È decisivo il metodo del dialogo, ma va esercitato nella chiarezza: su quali punti ritiene debba esserci fermezza da parte della Chiesa, e dove si può trovare un terreno di incontro con le istanze dell’associazionismo omosessuale?
L’ideale della castità deve essere proposto non perché sia un ideale facile ma perché è possibile e può aiutare la vita affettiva a sperimentare un’integrazione tra gli orientamenti sessuali e la propria vita intellettuale e spirituale. Nel proporre l’ideale della castità la Chiesa non misconosce per nessuno, indipendentemente dagli orientamenti sessuali, la difficoltà a viverla. Semplicemente vuole aiutarci a camminare in avanti. Non bisogna mai escludere un bene, anche se per raggiungerlo occorre attraversare un mare difficile. Quanto al dialogo, è assolutamente necessario incontrarsi: ci sono molte persone credenti con tendenze omosessuali che si radunano attorno a sacerdoti per pregare, interrogarsi e aiutarsi nella loro condizione di vita. Tutto ciò va accolto, senza creare ghetti ma integrando le persone nella vita ordinaria delle comunità.