Gambetti. «Io, cardinale fra calcio e Formula 1. Lo sport è palestra di fraternità»
Il cardinale Mauro Gambetti con la maglia della Nazionale donata dal presidente della Figc, Gabriele Gravina
Ne ha fatta di strada il calciatore-ragazzino che militava in una piccola squadra di provincia nei dintorni di Imola; il liceale che a scuola si cimentava nella corsa; il tifosissimo della Juventus che restava incollato alla radio per seguire le imprese bianconere e non si perdeva un gol; il patito di Formula 1 che con gli amici andava al Gran Premio di Imola. In realtà al Gran Premio è tornato anche un anno fa. Da cardinale. Perché il cultore dello sport e dai motori ha oggi la porpora (e il saio francescano). Mauro Gambetti è il cardinale Gambetti: dal 2020 per volontà di papa Francesco. E dall’anno successivo vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano, arciprete della Basilica di San Pietro e presidente della Fabbrica di San Pietro. Ma, prima da frate minore conventuale e adesso con la berretta, non ha mai abbandonato o rinnegato il legame con il mondo dello sport. Anzi, ha presentato alla Figc lo scorso anno la maglia per il mezzo secolo della Nazionale vaticana, quella che ufficialmente è l’associazione sportiva dilettantistica “Sport in Vaticano”. «Lo sport ha nel suo dna non solo la predisposizione a far crescere la persona e a favorire l’armonia del corpo e della mente, ma va considerato anche un prezioso strumento per aiutare a sviluppare l’amicizia sociale che papa Francesco chiama fraternità», racconta il cardinale Gambetti. Lui è stato uno dei protagonisti della serata sportiva organizzata a Potenza nell’ambito della Festa di Avvenire. Però tiene subito a precisare: «Purché non venga schiacciato da altre logiche, a cominciare da quelle economiche».
È proprio la corsa al business che lo ha allontanato dalla sua formazione del cuore e dalle partite di Serie A. «Da diversi anni il calcio mi sta deludendo - confida -. Perché ha smarrito l’anima. Ormai tutto ruota intorno agli affari. Anche una squadra viene composta in base a quest’unico criterio: non esiste più l’appartenenza o l’attaccamento alla maglia. Rimango affezionato alla Nazionale italiana e, direi in maniera più ampia, al bel gioco». E, da quando il Pontefice lo ha chiamato all’ombra del cupolone, anche alla compagine vaticana. «Non sarà mai orientata da fattori economici. Ecco perché, quando ritrovo la genuinità dello sport e mi imbatto in persone che hanno come solo scopo quello di scendere in campo, riscopro non solo il piacere ma anche la commozione che lo sport suscita. In fondo, se posso azzardare un parallelo nonostante le debite differenze, lo sport è come l’arte: rappresenta una delle espressioni dell’umano che riescono a dare colore alla vita e dicono che i limiti di ciascuna persona non possono mai essere una barriera».
Il cardinale Mauro Gambetti con la maglia gialla della Nazionale vaticana, ossia l’associazione sportiva dilettantistica “Sport in Vaticano” - Dal video dell'agenzia Sir
Ha giocato a calcio, Gambetti. «Ma non solo - racconta -. Ho fatto anche la corsa, il basket, la pallavolo. Lo sport è una palestra di vita. Ed è una ricchezza che mi porto dentro. Ho appeso le scarpe al chiodo quando sono diventato frate, ma non avevo la stoffa dell’atleta o del calciatore». Prima, però, di entrare nel 1992 nell’Ordine dei frati minori conventuali, si è laureato in ingegneria meccanica a Bologna. E si spiega anche così la passione per i motori che aveva già da adolescente quando frequentava il liceo e fra i suoi compagni di classe c’era Stefano Domenicali, attuale capo della Formula 1 e un passato da Team Principal della Ferrari. «Al recente Gran Premio sono andato su sollecitazione di Stefano - sorride il cardinale -. Da giovane ho seguito il pianeta delle moto e dell’automobilismo. La Formula 1 unisce l’emozione di uno spettacolo alla ricerca tecnica per implementare le performance ma anche la sicurezza. Tuttavia, in questo ambito è sottile l’equilibrio fra ciò che è sportivo e ciò che appartiene ad altro, che è puro utilitarismo».
Allora ecco che si torna alla vocazione dello sport. «Lo sport è relazione - afferma Gambetti -. Non è solo esercizio individuale ma confronto. Esso chiama alla condivisione delle responsabilità e al rispetto delle regole. Praticare uno sport fa bene non solo al singolo ma all’intera società perché invita all’incontro e alla solidarietà». Ma c’è il rischio delle degenerazioni. «Avviene quando si perde di vista la sua impronta originaria: lo sport è fatto per divertirsi nella gratuità e per esprimersi liberando il proprio potenziale. Se, invece, a comandare è il profitto, si trasforma in fattore distruttivo per la persona e per le persone. Cito lo scandalo del doping, ma anche alcuni messaggi deleteri che lo sport “deviato” può veicolare come la corsa smodata al consumo, la lusinga del successo, lo stimolo a volere sempre di più. Perciò sostengo che occorre educare le coscienze. Serve accompagnare la gente a non perdere di vista quale sia l’autentica natura dello sport. E, se accade, lo sport può contribuire a costruire una società che sia davvero più fraterna».