Chiesa

Bari. «Cristiani perseguitati, il mondo fermi il traffico d'armi»

Stefania Falasca sabato 2 maggio 2015
Vademecum per la questione dei cristiani in Medio Oriente. È questo il contenuto del recente intervento di Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, tenuto a Bari nei giorni scorsi nel corso della Conferenza Internazionale “Christians in the Middle East: What Future?”, che sviluppa la visione del Papa chiaramente ripresa ed espressa dal Segretario di Stato, Pietro Parolin riguardo le problematiche della vicenda dei cristiani nell’area. Gallagher riassume in quattro punti le linee base che la Santa Sede segue nel considerare le modalità d’intervento, la condizione e l’importanza della presenza dei cristiani in Medio Oriente, il dramma dell’esodo dei cristiani e quali sono i compiti della Comunità internazionale e della Chiesa. «La Comunità internazionale non può rimanere inerte o indifferente di fronte alla drammatica situazione attuale», ha affermato Gallagher. Ma «l’esperienza ha mostrato che la scelta della guerra, invece del dialogo e del negoziato, moltiplica la sofferenza di tutta la popolazione mediorientale». «Che cosa ha prodotto la via delle armi se non un’ulteriore distruzione, senza risolvere i problemi?», ha chiesto il Segretario per i Rapporti con gli Stati. Quale è quindi il ruolo che deve svolgere la Comunità internazionale per garantire la presenza dei cristiani e di altri gruppi minoritari nel Medio Oriente? Primo: «Deve andare alla radice dei problemi». Secondo: «Deve anche riconoscere gli errori del passato e cercare di favorire un avvenire di pace e di sviluppo per la Regione mettendo al centro il bene della persona e il bene comune». In che modo è pertanto lecito che la Comunità internazionale svolga questo ruolo e fermi la violenza? «Fermando il traffico d’armi, come chiede spesso il Santo Padre e promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico». Nel caso specifico delle violazioni e degli abusi commessi ai cristiani e alle minoranze religiose, la Comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite e le strutture che si sono date per simili emergenze, dovrà agire in questo modo per prevenire possibili e nuovi crimini e per assistere i numerosi rifugiati. È inoltre opportuno – ha rilevato Gallagher – che insieme alla Comunità internazionale anche gli Stati della Regione siano direttamente coinvolti nelle azioni da intraprendere «con la consapevolezza che non si tratta di proteggere l’una o l’altra comunità religiosa, l’uno o l’altro gruppo etnico, ma delle persone che sono parte dell’unica famiglia umana e i cui diritti fondamentali sono sistematicamente violati». L’accento posto su «l’unica famiglia umana» indica chiaramente la prospettiva di approccio delle questioni da parte della Santa Sede e della Chiesa. Se da un lato «si devono trovare i meccanismi per incoraggiare in particolare i Paesi a maggioranza musulmana ad affrontare il fenomeno del terrorismo in maniera seria» dall’altra, viene evidenziato «si deve mettere anche un certo limite a diverse espressioni e manifestazioni che si verificano in Occidente affinché si evitino gli atti di offesa e di provocazione a quanto è caro e considerato sacro dalle diverse religioni». A questo riguardo, per Gallagher è importante anche l’opera di sensibilizzazione e di azione dei fedeli laici ben formati sulla dottrina sociale della Chiesa e che «possono assumere responsabilità nella vita sociale e politica di ogni nazione». Nell’affrontare il punto drammatico della fuga dei cristiani dalle loro terre vengono messe in chiaro quelle che sono le responsabilità della Comunità internazionale, della Chiesa e degli stessi cristiani. Di fronte a quest’esodo incessante da terre che per secoli hanno visto convivere i cristiani insieme a diversi gruppi etnici e religiosi, la Santa Sede considera importante a breve tempo la sensibilizzazione della Comunità internazionale per far fronte all’emergenza umanitaria e garantire condizioni minime di sicurezza per le minoranze e per le comunità cristiane. A lungo termine, ritiene necessarie altre misure adeguate per garantire la presenza cristiana e quella degli altri gruppi minoritari nelle loro terre di origine, favorendo il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli della libertà religiosa e di coscienza, e il riconoscimento dei cristiani quali cittadini a pieno titolo. «La presenza cristiana nella regione è importante sia per la vita della Chiesa che per lo sviluppo della società. I cristiani, come un piccolo gregge, hanno la vocazione ad essere lievito nella massa» ha affermato Gallagher, facendo poi osservare: «Uniti tra di loro e in collaborazione con gli appartenenti ad altre religioni, soprattutto con i musulmani, sono chiamati ad essere artefici di pace e di riconciliazione e, senza cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o proteggere dalle autorità politiche o militari di turno per “garantire” la propria sopravvivenza, devono offrire un contributo insostituibile alle rispettive società che si trovano in un processo di trasformazione verso la modernità, la democrazia, lo stato di diritto e il pluralismo». Che cosa può fare la Chiesa? Tutta la Chiesa ha la responsabilità di sostenere con ogni mezzo possibile e di favorire la solidarietà con i fratelli cristiani che confessano la loro fede in Medio Oriente e d’incoraggiarli a rimanere e a continuare ad essere una presenza significativa per il bene di tutta la società. «Essi vanno aiutati ad affrontare la crisi umanitaria dei fedeli e degli altri gruppi minoritari che patiscono ogni tipo di persecuzione o discriminazione. In questo modo potranno costruire insieme agli appartenenti ad altre religioni, uniti anche nel dolore e nella sofferenza, una società più giusta e più umana dove tutti hanno un luogo, un compito e una responsabilità». Infine, ma non ultimo, Gallagher, ha rilevato l’importanza, sempre più evidente, del dialogo interreligioso. «Tanti ne parlano» ha detto «è fondamentale però impegnarsi seriamente e favorirlo». I leaders religiosi ebrei, cristiani e musulmani oltre a denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza, «possono e devono svolgere un ruolo indispensabile per favorire sia il dialogo interreligioso e interculturale che l’educazione alla reciproca comprensione. Il dialogo interreligioso è l’antidoto migliore contro ogni forma di fondamentalismo».