Vaticano, legge anticorruzione. Galantino: sulla trasparenza non è l’anno zero
Il richiamo del vescovo Nunzio Galantino alla coerenza evangelica
Monsignor Nunzio Galantino, qual è la genesi di questo motu proprio?
Dopo gli interventi dei mesi scorsi – in continuità col processo iniziato già con papa Benedetto al quale papa Francesco ha dato un’accelerata – ci troviamo di fronte a un ulteriore importante passo in avanti – risponde il presidente dell’Apsa –. Si descrivono i «particolari obblighi di trasparenza» cui deve sottostare chi ricopre «ruoli chiave ai fini della prevenzione e del contrasto, in ogni settore, di conflitti di interessi, di modalità clientelari e della corruzione in genere».
È solo una coincidenza temporale che arrivi dopo le inchieste giornalistiche che hanno parlato di presunti scandali finanziari nelle strutture della Santa Sede?
Come ho detto, si tratta di un processo che viene da lontano. Anche se non va sottovalutato l’impatto che possono avere le inchieste giornalistiche che, diciamoci la verità, di “inchiesta” non hanno molto, dal momento che si basano sulla pubblicazione di documenti interni riguardanti percorsi giudiziari già avviati dalla magistratura vaticana. Personalmente considero positivo tutto ciò che, pur potendomi far male, mi aiuta a raddrizzare comportamenti scorretti.
In che rapporto sta questo motu proprio con il Codice degli appalti varato nel 2020?
Strettissimo. Nell’ambito della buona amministrazione e in quello del contrasto a comportamenti fraudolenti non basta il quadro legislativo di riferimento generale. Bisogna entrare nei particolari e definire le responsabilità disciplinari e/o penali derivanti da dichiarazioni false o mendaci.
E con lo spostamento di tutti i fondi, anche quelli della Segreteria di Stato, sotto la gestione dell’Apsa?
Il trasferimento all’Apsa della gestione del patrimonio, fino al dicembre 2020 sotto la responsabilità dalla Segreteria di Stato, si colloca su un altro piano, quello di una razionalizzazione dell’amministrazione della Santa Sede. La mens del Legislatore è chiara: ogni dicastero deve fare ciò per cui è stato creato. Senza sovrapposizioni e tantomeno contrapposizioni. La responsabilità della gestione del patrimonio della Santa Sede, ovunque si trovi, è dell’Apsa. La responsabilità del controllo è affidata alla Segreteria per l’Economia. Detto questo, è ovvio che «le disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica», oggetto del motu proprio pubblicato ieri, riguardano chiunque, in Vaticano, ha responsabilità dirette o indirette di gestione. Le responsabilità dell’Apsa sono pari alla quantità di patrimonio che è chiamata ad amministrare.
Questa nuova legge è anche un segnale per Moneyval, di cui si attende a breve una nuova valutazione?
Non penso proprio. I segnali, a mio parere, vanno dati prima di tutto alla nostra coscienza e al diritto che ha chiunque ci affida risorse perché ha a cuore la missione della Chiesa. Amministrare bene e in trasparenza serve per garantire credibilità e reputazione alla Chiesa. Serve anche a dare segnali a quanti in maniera opportuna e inopportuna non vedono l’ora di montare “casi”, amplificando e/o distorcendo. Nessuno nega l’esistenza di pratiche discutibili delle quali, prima dei giornalisti, come dicevo, si sta interessando la magistratura vaticana.
In sostanza, qual è a suo avviso lo stato di salute della trasparenza e della correttezza amministrativa in Vaticano? A dare infatti ascolto alla narrazione prevalente, il Vaticano sarebbe un regno di malfattori in cui il Papa è il solo a combattere la corruzione e tutte le altre eventuali malefatte...
Non saprei quanta buona fede ci sia in chi presenta il Papa come combattente solitario, circondato, come lei dice, da malfattori. Ho forti dubbi che questo tipo di narrazione faccia bene alla Chiesa e rispecchi la verità. Quella che io conosco e della quale mi sento parte. Di sicuro, a chi ha scelto di fare comunicazione in questo modo sfugge un particolare. La riforma dell’amministrazione in Vaticano tende, è vero, a correggere storture esistenti, anche di una certa gravità; tende a definire procedure chiare e trasparenti. Ma, nello stesso tempo, si prefigge di orientare con decisione verso una coerenza evangelica chi è chiamato a rendere il servizio dell’amministrazione nella Chiesa. Non è un caso che il Papa introduca il motu proprio con queste parole: «La fedeltà nelle cose di poco conto è in rapporto, secondo la Scrittura, con la fedeltà in quelle importanti».
Viste le norme molto stringenti fissate in questo motu proprio, è davvero possibile coniugare finanza e Vangelo? E come bisognerà farlo da qui in avanti?
Assodato che, lo ripeto, non siamo all’anno zero in fatto di amministrazione corretta e trasparente, vorrei rispondere al resto della sua domanda con una battuta. Era già tutto chiaro all’origine, nel gruppo apostolico, perché da un lato risulta che c’era una cassa e dall’altro che si sbagliò a scegliere l’economo, Giuda Iscariota. La figura di Giuda è interessante perché in lui emerge, insieme con la dimensione del rischio, quella della necessità di un servizio amministrativo. La necessità del servizio amministrativo è messa in luce dall’esistenza di una “cassa” del gruppo apostolico e dall’indicazione discreta di due delle finalità a cui essa serviva: comprare l’occorrente per la festa di Pasqua e dare qualcosa ai poveri (cf. Gv 13,29). Oltre ai due scopi cui erano destinate le risorse, se ne intravvedono almeno altri due: il sostentamento di Gesù e dei suoi (cf. Gv 4,8: «I suoi discepoli erano andati in città a far provvista di cibi») e le necessità della missione evangelica (cf. Mt 14,16: «Date loro voi stessi da mangiare »). Ciò significa che la comunità apostolica era povera ma non pauperista, animata da grande tensione escatologica ma non disincarnata dalla storia concreta e dalle esigenze pratiche del vivere insieme per perseguire una missione comune. Allora, se dovessi assegnare un posto a questo motu prorprio e ad altri interventi pontifici in materia amministrativa, li metterei in continuità con quanto l’evangelista Giovanni scrive sul rischio che si è subito palesato nella prima comunità apostolica. Li metterei come indicatori chiari ed esigenti per un’amministrazione coerente e credibile.