Chiesa

Discorso alla Rai. «La Rai investa in "cultura popolare"»

Nunzio Galantino venerdì 16 gennaio 2015

Innanzitutto, un ringraziamento non formale per questa opportunità di confronto e di riflessione sull’offerta editoriale della Rai, quindi sulle modalità con cui il servizio pubblico è chiamato a sviluppare la sua missione e i suoi valori. Intendo ordinare il mio breve intervento intorno a tre nuclei: il primo riguarda il contesto nel quale va collocata l’offerta del servizio pubblico; il secondo tocca quelli che, a mio parere, sono i contenuti da potenziare o perlomeno da assicurare; infine, vorrei ribadire cosa deve contraddistinguere il servizio pubblico perché questo possa avere carattere culturale. 1. Rete e piattaforme: nuova dimensione e scenario inedito Vorrei muovere da una constatazione di natura solo apparentemente tecnologica. Ecco la constatazione: è indubbio che l’arrivo della Rete e delle piattaforme digitali abbiano modificato radicalmente – e in maniera non certo indolore – il panorama complessivo della comunicazione. Rete e piattaforme costituiscono una nuova dimensione; più ancora, costituiscono l’ambiente inedito nel quale ci muoviamo. Rete e piattaforme insomma hanno modificato il modo di lavorare e quindi di produrre e di distribuire contenuti. Mi sembrano due i fatti più vistosi: a. All’offerta di contenuti “lineare” di ieri – che favoriva anche un passaggio abbastanza “lineare” e scontato tra prodotto offerto, ricezione e investimento pubblicitario – è subentrato un consumo segmentato e variabile, sulla base di un palinsesto sempre più personalizzato.b. Ieri il servizio pubblico era concentrato sul versante radio-televisivo: oggi questo non è che uno dei canali attraverso i quali si diffondono informazione e intrattenimento. Una prima conseguenza che mi preme evidenziare è che il contesto cross-mediale, proprio perché ha moltiplicato le forme di diffusione, esige che i prodotti siano pensati fin dalla loro origine nei termini della trans-medialità, della possibilità cioè di essere distribuiti e visti su ogni dispositivo. Lo dico perché sento montare una preoccupazione che anima anche il servizio pubblico; mi riferisco alla preoccupazione di perdere l’aggancio soprattutto con le nuove generazioni. Se quello che ho detto è vero, ne scaturisce l’esigenza di un’integrazione tra vecchi e nuovi media nello sforzo di accompagnare la televisione nella sua confluenza nella Rete, evitando di considerarla come uno strumento residuale per i più anziani e i meno colti. 2. Nuovi scenari: obiettivi e strategie! Il nuovo scenario – peraltro in continua evoluzione – pur nelle difficoltà che pone, può e deve essere vissuto come un’opportunità per il futuro del servizio pubblico. Il riposizionamento richiede obiettivi e strategie per conseguirli, che vanno al di là delle mie competenze ed esulano comunque da questo momento. Mi limito a proporre, dal mio osservatorio, una serie di contenuti da potenziare o perlomeno da assicurare se il servizio pubblico vuole fare seriamente cultura e contribuire a bonificare l’aria deprimente che siamo costretti a respirare grazie a guru, leader e leaderini chiasosi e senza scrupolo. Se il servizio pubblico vuole mantenere fede a un patto con i cittadini, non si potrà far dettare l’agenda dall’audience: il criterio di riferimento non potrà essere questo, pena il tornare a inseguire – come di frequente è avvenuto negli ultimi decenni – la televisione commerciale, in una concorrenza che ha diffuso nel Paese modelli culturali – lasciatemelo dire! - degradati. Per essere concreto, penso all’esaltazione del gioco d’azzardo, all’enfatizzazione della cronaca nera, alla litigiosità e perfino all’irrazionalità portate nel dibattito pubblico. Peggio quando, poi, veniamo a scoprire – attraverso backstage intriganti – che la litigiosità e il non senso vengono pianificati da qualche autore e produttore. Una Rai che voglia davvero porsi al servizio della democrazia e della coesione nazionale, si impegna invece a rispondere in maniera creativa e interessante alle esigenze di formazione permanente, portando al centro dell’attenzione i temi vitali della vita del Paese. Si tratta di garantire uno spazio adeguato per la rappresentazione delle istanze, delle iniziative e dei progetti della società civile. Sogno il momento in cui nel servizio pubblico RAI possano trovare una voce sempre più accolta e diffusa persone e realtà che non contano e che non possono contare su lobby interessate e spregiudicate. Per questo mi permetto di chiedere: valorizzate i servizi di inchiesta e non soltanto per denunciare quello che non funziona, ma anche per raccontare le eccellenze, le eroicità e la positività ordinaria che innervano il tessuto della nostra gente. Ce ne sono! … e lo sappiamo tutti. Impegnatevi ad accrescerne con la vostra azione educativa lo spirito critico. Promuovere cultura tecnologica e umanistica significa praticare quella che Rosmini chiamava «la carità intellettuale»; quella carità, scriveva il prete roveretano, che «tende immediatamente a illuminare e arricchire di cognizioni l’intelletto umano». In tal senso, l’investimento che è chiesto alla Rai, proprio per essere fecondo, non potrà che essere nella direzione della cultura popolare, senza che tale aggettivazione abbia alcunché di riduttivo. Ne è parte un’attenzione specifica alla dimensione storico - religiosa dell’uomo, che la RAI da sempre assicura e che è tanto apprezzata. Dico questo non per rivendicare una presenza privilegiata della Chiesa negli spazi del servizio pubblico, ma per ricordare quanto la dimensione religiosa sia costitutiva della realtà. Valorizzate, perciò, la tradizione cristiana e le altre culture che ad essa oggi si affiancano. Non c’è chi non veda quanto alla comunicazione spetti un ruolo decisivo nel favorire un incontro sempre più proficuo tra culture religiose e laiche, come vedo realizzato in tante produzioni RAI. Mi viene in mente ora Il Sabbatico.Ma evidentemente non è l’unica produzione fare questo. 3. Il servizio pubblico tra qualità e pluralismo Il valore che contraddistingue il servizio pubblico di cui la Rai è chiamata a essere interprete autorevole è dato essenzialmente da due elementi: da un lato, la qualità, caratteristica irrinunciabile che deve poter distinguere la produzione nel suo complesso; dall’altro, un sano pluralismo, che è cosa ben diversa dalla spartizione di potere: è, piuttosto, espressione della varietà di voci e di iniziative della società civile. Anche qui, consapevole della difficoltà che questo comporta, sento di invitare a neutralizzare l’invadenza di lobby stregate dalla dittatura del pensiero unico. Quando direttamente o indirettamente, per convinzione o per paura, le si lascia prosperare ci si rende complici di chi di fatto soffoca e distrugge lo straordinario valore del pluralismo. Una programmazione che abbia qualità e pluralismo come comune denominatore sarà premiata anche in termini di ascolti: credeteci! Servizio pubblico, allora, sia la modalità con cui lavorare nel proporre tanto l’informazione come l’intrattenimento e la cultura: la Rai con la sua storia, le sue sensibilità editoriali e le sue competenze professionali ha mostrato – e non da oggi – di poter assicurare questo stile, costituendo così una bussola di riferimento in un viaggio tanto determinante per il bene comune del Paese.