Ha deciso di non andarci. Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, non si è recato questa sera a Trento per l’annuale
lectio magistralis in onore di Alcide De Gasperi, così da evitare «con la mia sola presenza – ha scritto in una nota (
TESTO) – di contribuire a rafforzare polemiche o anche semplicemente di allontanare il momento del rasserenamento di un clima invano esasperato». Nella nota che accompagna il testo, Galantino afferma di aver preso la sua decisione «in continuità con l’atteggiamento di riservatezza e di silenzio adottato nell’ultima settimana». «Mi sono convinto – aggiunge – che la disponibilità a fare un passo indietro a volte sia la via migliore affinché alcune idee di fondo e alcuni valori si accreditino, puntando ad affermarsi». E «questa fiducia è rafforzata dalla consapevolezza che, se con parole forti ho potuto urtare la sensibilità di qualcuno, l’ho fatto per un’istanza che continuo a credere esclusivamente evangelica».
Nonostante la premessa, però, qualcuno ha voluto leggere anche nelle parole della sua relazione (
distribuita alla stampa e letta nel corso del convegno) un riferimento alle vicende partitiche di questi giorni e si è innescato il dibattito, specie in riferimento alla frase in cui il vescovo sottolinea che la politica è «ben altro» rispetto a «un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi». Una frase che tuttavia va letta nel contesto dell’ampio intervento (sedici pagine) in cui segretario della Cei analizza la figura di Alcide De Gasperi (esempio a cui guardare), sottolineando che la democrazia «non è soltanto una forma di governo, ma la condizione necessaria per esercitare in positivo le libertà individuali, civili e sociali», un vero e proprio «metodo di vita, un’aspirazione al riconoscimento della dignità delle persone e dei popoli». Il popolo, dunque, «non è soltanto un gregge, da guidare e da tosare», ma «il soggetto più nobile della democrazia e va servito con intelligenza e impegno, perché ha bisogno di riconoscersi in una guida». Mentre «i populismi sono un crimine di lesa maestà di pochi capi spregiudicati».
Dalla democrazia alla politica, il passo è breve. Politica che può essere l’«ordine supremo della carità» e «questa dovrebbe essere la grande avventura per chi ne sente la missione». Quanto cioè – avrebbe spiegato ieri sera il segretario generale della Cei – «mi ha spinto a essere fin troppo chiaro, qualcuno ha scritto "rude", negli interventi di questi ultimi giorni, almeno quelli non inventati, sui drammi dei profughi e dei rifugiati: nessun politico dovrebbe mai cercare voti sulla pelle degli altri e nessun problema sociale di mancanza di lavoro e di paura per il futuro può far venir meno la pietà, la carità e la pazienza».
La laicità, poi. Che «non è libertà individuale di fare ciò che si vuole, non concerne leggi che devono assecondare i desideri di ciascuno» – sottolinea monsignor Galantino – e «non è nemmeno una semplice morale laica, da piccoli borghesi garantiti dal benessere», ma «in positivo, un progetto di vita fondato sul rispetto della complessità dell’uomo, sulla tradizione storica e sulla fiducia nella capacità della politica di trovare un punto di mediazione che non sia la rinuncia a ciò che si crede».
La Chiesa, infine. «Non ha bisogno di diplomazie esclusive, ma di uno spirito evangelico, come Papa Francesco non si stanca di ricordarci». E del resto «cosa saremmo noi vescovi italiani senza l’Italia? La nostra missione non può essere disgiunta dal destino di questo nostro Paese, a cui siamo non solo fedeli, ma servitori».