Intervista a Tv2000. Galantino: la politica che ci vuole è con la gente
Molti gli argomenti affrontati nell'intervista di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, con Monica Mondo davanti alle telecamere di Tv2000. Il servizio, all'interno del programma "Soul" andrà in onda domenica alle 11.20 con replica alle 20.30. Il video sarà disponibile anche su www.tv2000.it.Sì al dialogo, solidarità ai fratelli perseguitati Sì al dialogo, “sempre, ma il dialogo non significa mettersi di fronte all’altro e necessariamente aspettare che lui impari la mia lingua quando la sua è soltanto orientata, sintonizzata sulla violenza e sul sopruso”. Lo rileva monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Citando Bonhoeffer, “se un pazzo è alla guida di una macchina nella principale via di Berlino, il mio compito di pastore non è quello di seppellire i morti provocati dal pazzo, ma di salire sulla macchina e strappare il pazzo dal volante”. E così, aggiunge Galantino, “bisogna che io trovi tutti i mezzi possibili e necessari perché l’altro capisca che il suo linguaggio è un linguaggio sbagliato che sta portando morte”. Il pensiero corre ai cristiani oggi perseguitati, che possono difendersi “solo fuggendo”. “Diventa indispensabile - osserva - far capire ai nostri fratelli perseguitati che non sono stati anche abbandonati da noi. Molto spesso il modo in cui loro affrontano queste realtà, la forza per reagire a queste persecuzioni terribili, la trovano nel nostro appoggio, nel nostro aiuto, nel nostro sentire con loro”.L'impegno in politicaL’impegno nella politica “deriva direttamente dall’Incarnazione, cioè dal fatto che Gesù Cristo si è fatto carne, che Dio si è fatto uomo”. Così sul “rapporto tra i cattolici e la politica”. È vero, riconosce, che “c’è stato un momento in cui il collateralismo l’ha fatta da padrone, ma dietro il collateralismo - domanda - c’è stata sempre la voglia di difendere i valori del Vangelo, i poveri? Oppure una forma non molto dissimulata di potere, per cui se io prete mi ero ammanigliato con il politico più potente ero sicuro che qualche beneficio ne veniva, non a me personalmente, ma alla mia chiesa, alla mia struttura, alla mia realtà, alle mie opere?”. La politica che ci vuole “nasce dalla voglia di mischiarmi con la gente, di porgere orecchio e cuore a quello che la gente avverte come problema”. Ma “quando facciamo questo tipo di politica - rileva il presule - difficilmente troviamo uomini politici che ci vengono appresso. Quello che manca veramente in questo momento, e non solo sul piano politico, è l’affetto, nel senso nobile della parola, per la cultura: noi abbiamo delle mezzecalzette sul piano culturale che poi fanno le mezzecalzette in politica, questo è il problema serio”. L'omologazione nella comunicazioneC’è una pericolosa omologazione nella comunicazione, che non contribuisce “a creare una coscienza”. Monsignor Galantino osserva che quando c’è stato l’attentato di Parigi, “nelle stesse ore in Nigeria duemila persone venivano uccise, nelle stesse ore una bambina è stata fatta saltare in aria, il giorno successivo due bambine sono state fatte saltare in aria”. Eppure, osserva, “la nostra comunicazione è stata concentrata esclusivamente sui fatti di Parigi”. Da qui una riflessione: “La comunicazione in quei giorni ha veramente contribuito a creare una coscienza, una consapevolezza, che potesse portarci a piangere perché delle bambine, che dovrebbero essere il segno di una vita che esplode, sono esplose in un altro senso? Siamo stati aiutati in quel momento? No, siamo stati aiutati a dire da alcune lobby, lasciatemelo dire, a dire tutti la stessa cosa. E guai a non dire tutti la stessa cosa, lo sapete bene”. Conflittualità del clero Ignoranza” del clero e “conflittualità” sono altri temi messi in luce nell’intervista di Tv2000. Se Rosmini parlava di “insufficiente educazione del clero”, “oggi - dice Galantino - c’è un modo diverso di essere ignoranti da parte di noi sacerdoti, quando non sappiamo ‘intus legere’, cioè entrare veramente col cuore e con la mente nella storia e nelle realtà degli altri”. E domanda: “Cosa me ne faccio delle mie lauree”, “se non mi serve per poter leggere dentro il cuore delle persone?”. All’interno della Chiesa, poi, “certe volte emerge più la conflittualità che la comunità”, ma “spesso - secondo Galantino - il conflitto è frutto di una voglia di confondere l’unità con l’uniformità. Quando non si è capaci, come diceva don Tonino Bello, di sposare la sinfonia delle differenze”. “Il litigio - a suo avviso - può essere utile. Quando spogliati di formalità e anche di inibizioni ci si sente liberi di dire esattamente quel che si pensa. E se dall’altra parte trovi una persona davvero libera come te il litigio può diventare un inizio di vita nuova”. Ma “all’origine della divisione - avverte - non può esserci mai la liturgia, mai il Vangelo, mai la carità, mai la pastorale. Ci sono le nostre fissazioni, acquisite altrove ma non nella Chiesa”. Il clericalismo c’è ancora, “non è soltanto un fatto liturgico”, e coinvolge sempre, allo stesso tempo, preti e laici, aggiunge il segretario generale della Cei. Raccontando della scelta di entrare in seminario nel 1968 (“Una sorta di sfida con me stesso e anche con gli altri”) e poi degli studi di filosofia all’Università di Bari, il discorso vira su Antonio Rosmini - studiato approfonditamente da Galantino - e sulla sua opera “Le cinque piaghe della Chiesa cattolica”. La prima, appunto, è “la divisione del clero dal popolo nella liturgia”, con la proposta rosminiana di usare la lingua volgare. E se questo traguardo è stato raggiunto con il Concilio, “non è che usare l’italiano nella liturgia significhi automaticamente aver ricostruito un ponte”, avverte il segretario generale della Cei, citando una battuta di Papa Francesco: “Il clericalismo è come il tango, lo si balla sempre in due: non esistono laici clericali o clericalizzati che non abbiano l’appoggio di qualche prete e non c’è un prete clericale che non abbia qualche laico che muore dalla voglia di fare il prete”. Il clericalismo, aggiunge Galantino, “è mancanza di fantasia”, incapacità “di vivere, scrivere la propria vita per quello che è” e, in sostanza, “il clericale è prima di tutto un replicante”.