Il principio viene espresso con semplicità esemplare dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso: «Nella libertà religiosa – dice – non è in questione la religione, ma la libertà». L’incontro centrale della giornata di ieri, e forse dell’intero Meeting 2013, potrebbe anche finire qui, in un certo senso. Non soltanto perché di “Libertà religiosa, via della pace” (questo il titolo) a Rimini si parla da oltre trent’anni, e neppure perché uno dei motivi ricorrenti di questi giorni è l’appello per i cristiani perseguitati, che continua a raccogliere adesioni fra gli stand della Fiera e sul web. In linea teorica, in effetti, non ci sarebbe nulla da aggiungere. Il punto, però, è che la libertà religiosa è argomento attuale, attualissimo. Lo ripete lo stesso cardinale Tauran: «Non si tratta di una concessione dello Stato, ma di un diritto della persona – sostiene –. Eppure accade ancora troppo spesso, anche in Occidente, che al credente non sia riconosciuta la condizione di cittadino: costretto a esprimere la sua fede in privato, si trova nell’impossibilità di dare un apporto pubblico».Il problema c’è, insomma, e non riguarda soltanto Paesi considerati, a torto o a ragione, lontani. Lo sa bene il coordinatore, Roberto Fontolan, che nel corso dell’incontro introduce i videomessagi inviati dai due relatori che, per motivi diversi, non sono intervenuti ai lavori. Il primo è Nassir Abdulasiz Al Nasser, alto funzionario Onu che pronuncia l’auspicio di una società in grado di «costruire ponti»; il secondo viene da Tahani Al Gebali, la giurista egiziana che si preoccupa di spiegare che cosa sta succedendo al Cairo («Nessun colpo di Stato, è il popolo che è sceso in strada, come la piena del Nilo, per contrastare un regime integralista») e anticipa le date dell’edizione cairota del Meeting, in calendario il prossimo 13 e 14 ottobre.Da Giakarta è invece arrivato a Rimini Azyumardi Azra, intellettuale di straordinaria influenza nel suo Paese: «L’Indonesia è la terza democrazia mondiale – avverte – e la più grande nazione musulmana, ma non è uno Stato islamico. La nostra Costituzione si fonda su un sistema di valori per il quale la fede nell’unico Dio è la condizione dell’armonia tra religioni diverse». Molto diversa la situazione del Pakistan, terra martoriata da cui torna al Meeting Paul Bhatti, fratello maggiore di Shabhaz Bhatti, il ministro cristiano delle Minoranze assassinato nel 2011. Politico a sua volta, Paul Bhatti non nasconde la commozione davanti alla platea del Meeting e passa in rassegna gli episodi, anche recenti, che hanno permesso la vessazione dei cristiani ai sensi della legge pakistana in materia di blasfemia. «Il nostro è un Paese povero – afferma – ma l’emergenza maggiore riguarda l’educazione: purtroppo l’80% dei miei connazionali è analfabeta».«Ma davvero l’Unione europea non ha nulla da dire davanti a una ragazzina di 14 anni che rischia la pena di morte?», rilancia Franco Frattini alludendo al caso di Rimsha Masih, salvata dall’imputazione di blasfemia grazie alle indagini predisposte dallo stesso Paul Bhatti (era stata accusata di aver bruciato alcune pagine del Corano, ma nelle ceneri presentate come prova non c’era alcuna traccia di carta). Già ministro degli Esteri del Governo italiano, e molto attivo in questa veste nel campo della libertà religiosa, Frattini è oggi presidente della Società italiana per l’Organizzazione internazionale. Sull’argomento continua ad avere le idee chiarissime: «L’Europa sta facendo troppo poco – ammonisce –. Non si può restare in silenzio davanti alle chiese bruciate in Nigeria e all’uccisione dei copti in Egitto, davanti alle ambiguità della Siria e alle derive dell’Afghanistan. Tanto varrebbe arrendersi all’idea che il politicamente corretto sia l’ultima istanza dell’attività politica dell’Unione». Non è, neppure questo, un discorso teorico: «Nella seconda metà del 2014 – ricorda Frattini – l’Italia tornerà a ricoprire la presidenza del Consiglio europeo. Sarebbe l’occasione perfetta per recepire l’appello del Meeting e per riconoscere il fatto che la libertà religiosa è una questione di democrazia e, quindi, una priorità per tutti».