Chiesa

Colloquio. Francesco: le donne in Vaticano chiamate a ruoli di maggiore responsabilità

Filippo Rizzi martedì 8 ottobre 2024

Un momento dell'incontro di papa Francesco nel Collège Saint-Michel di Bruxelles con i confratelli gesuiti

«Ripeto spesso che la Chiesa è donna. Vedo la donna nel cammino dei carismi, e non voglio limitare il discorso del ruolo della donna nella Chiesa al tema del ministero». E ancora: «Poi, in generale, maschilismo e femminismo sono logiche di “mercato”. In questo tempo sto cercando sempre di più di far entrare le donne in Vaticano con ruoli di responsabilità sempre più alta. E le cose stanno cambiando: lo si vede e lo si sente». È il passaggio più significativo e confidenziale con cui papa Francesco ha voluto parlare del futuro della Chiesa e del ruolo della donna all’interno della gerarchia cattolica.
Il colloquio è avvenuto con i confratelli gesuiti, circa 150 padri residenti tra Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi nel Collège Saint-Michel di Bruxelles. L’evento è avvenuto, il 28 settembre scorso, a margine dell’ultimo Viaggio Apostolico di papa Francesco in Belgio. E il resoconto di questo dialogo "informale" di papa Francesco con i suoi confratelli è stato pubblicato, come tradizione, oggi sull’ultimo quaderno 4184 de La Civiltà Cattolica. A firmarlo è stato il gesuita Antonio Spadaro sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione, già direttore de La Civiltà Cattolica e oggi scrittore emerito del quindicinale della Compagnia di Gesù.
Il Vescovo di Roma ha esortato i suoi confratelli a guardare senza nostalgie al glorioso passato della Chiesa. E a guardare al futuro con uno sguardo carico di speranza. «Noi dobbiamo essere aperti, dialogare, e nel dialogo aiutare con semplicità. E ciò che rende il dialogo fruttuoso è il servizio. Purtroppo, io trovo spesso nella Chiesa un forte clericalismo, che impedisce questo dialogo fruttuoso. E, soprattutto, dove c’è clericalismo non c’è il servizio. E, per carità, non confondete mai evangelizzazione con proselitismo!».
Nel suo ampio confronto fatto di domande e risposte ha incoraggiato i religiosi ignaziani a «non spaventarsi di nulla» e andare alle frontiere. Proprio come aveva suggerito Paolo VI nel 1974 durante la XXXII Congregazione generale della Compagnia di Gesù (a cui lo stesso Bergoglio aveva partecipato assieme, tra gli altri, agli italiani Carlo Maria Martini e Bartolomeo Sorge). E ha indicato nella figura del prete soprattutto un «servitore della comunità» ecclesiale. Bergoglio ha suggerito ai gesuiti di non abdicare a uno dei carismi e doni più specifici di questo Ordine, fin dalla sua fondazione nel 1540, l’importanza strategica dell’«apostolato intellettuale» da promuovere nella società di oggi. Come in quella di ieri.

​Il ricordo di Pedro Arrupe e di Henri de Lubac

E ha ricordato, nel suo ragionamento, due grandi figure della Compagnia di Gesù, di cui è in corso la causa di beatificazione e che hanno inciso con i loro esempi e scritti sulla Chiesa post-conciliare: il preposito dei gesuiti il basco Pedro Arrupe (1907-1991) e il cardinale e patrologo Henri de Lubac (1896-1991).

La sinodalità come « costruzione dal basso all'alto»


Infine significativo è stato l’accenno dell’importanza della sinodalità per il futuro della Chiesa. «È molto importante la sinodalità. Occorre che la costruzione non sia dall’alto al basso, ma dal basso all’alto. Non è facile la sinodalità, no, e a volte perché ci sono figure di autorità che non fanno emergere il dialogo. Un parroco può prendere da solo le decisioni, ma può prenderle con il suo consiglio. E così un vescovo, e anche il papa. È davvero importante capire che cos’è la sinodalità. Paolo VI, dopo il Concilio, ha creato la Segreteria del Sinodo per i vescovi. Gli orientali non hanno perso la sinodalità, noi l’abbiamo persa. Così, per impulso di Paolo VI, siamo andati avanti fino al 50° anniversario che abbiamo celebrato. E adesso siamo arrivati al Sinodo sulla sinodalità, dove le cose saranno chiarite proprio col metodo sinodale. È una grazia la sinodalità nella Chiesa! L’autorità si fa nella sinodalità. La riconciliazione passa per la sinodalità e il suo metodo. E, d’altra parte, non possiamo essere davvero Chiesa sinodale senza riconciliazione».