Chiesa

La riflessione. Bruno Forte: l’Eterno è la misura dei tempi

Bruno Forte sabato 23 novembre 2024

La Biblioteca Apostolica Vaticana

La Lettera del Santo Padre Francesco sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa, pubblicata il 21 novembre 2024, si presta a svariate possibilità di lettura, proprio per la ricchezza di approcci che l’interpretazione della storia offre al pensiero. Quello che qui privilegio è un taglio strettamente teologico: mi chiedo cioè che cosa questo intervento del Vescovo di Roma dice all’uso che la teologia fa della storia e a quello che la ricerca storica può fare di una prospettiva teologica fondata sulla rivelazione biblica e la sua trasmissione nel tempo da parte della Chiesa. Non esiterei a rispondere che il “no” deciso dell’intervento del Santo Padre è a un uso ideologico della lettura della storia, tanto in senso polemico, quanto in chiave apologetica: «Una corretta sensibilità storica aiuta ciascuno di noi ad avere un senso delle proporzioni, un senso di misura e una capacità di comprensione della realtà senza pericolose e disincarnate astrazioni, per come essa è e non per come la si immagina o si vorrebbe che fosse. Si riesce così ad intessere un rapporto con la realtà che convoca alla responsabilità etica, alla condivisione, alla solidarietà». In effetti, il fascino e il limite delle moderne concezioni del progresso storico sono consistiti nella presunzione di offrire una spiegazione totale del mondo e del suo divenire temporale: prodotto della ragione moderna, la filosofia della storia ne ha assunto le pretese totalizzanti e ne ha registrato la parabola di fronte all’incompiutezza palese delle realizzazioni storiche. Quando la violenza esercitata sul reale dall’ideologia si è scontrata con la resistenza del reale stesso, è risultato evidente che non basta cambiare il mondo e la vita nel pensiero per poi cambiarli effettivamente nella concreta complessità che li caratterizza. La “dialettica dell’Illuminismo” – proposta da Max Horkheimer e Theodor Adorno subito dopo la tragedia della seconda guerra mondiale (1947: in italiano Einaudi, Torino 1966) – consiste precisamente nella denuncia critica dei limiti della ragione emancipata e dei suoi progetti totalizzanti sulla storia. Il mondo “programmato”, che l’ideologia configura, resta un prodotto delle possibilità presenti, dedotto da ciò che è disponibile e calcolabile: ciò che ad esso manca veramente è il “nuovo”, l’avvenire in quanto indeducibile e non programmabile, il futuro nella sua dimensione pura. La filosofia della storia, concepita in maniera ideologica, si rivela un pensiero senza futuro, incapace non solo di dar ragione dell’interruzione e della morte, ma anche di aprirsi alle sorprese che l’eccedenza della realtà rispetto al pensiero riserva.

È dalla parabola di ascesa e di declino delle letture totalizzanti del divenire storico, operate dall’ideologia nelle sue diverse forme, che emerge la sfida che la “teologia della storia” lancia alla “filosofia della storia”: a differenza di questa essa è chiamata a rimanere costitutivamente aperta, costruita non a partire dall’uomo e dalla sua ragione più o meno presuntuosa e totale, ma a partire dal divino Altro, che ha visitato la storia e col Suo avvento ne ha mostrato al tempo stesso la finitezza e l’infinita dignità. Il fondamento irrinunciabile di ogni autentica teologia della storia è e non può non essere la rivelazione: è grazie ad essa che la visione teologica della storia resta pensiero aperto, pervaso dallo stupore e dall’adorazione di fronte al nuovo venuto nel tempo. Sta qui la permanente verità della teologia della storia di Agostino: ciò che qualifica il divenire storico è il modo in cui esso è rapportato all’Eterno, rivelatosi in Gesù Cristo. È Cristo l’escatologica pienezza dei tempi, il luogo puro dell’Avvento, l’unica vera novità sotto il sole della storia, e perciò la norma e la misura ultima su cui si confronta tutto ciò che è penultimo: è Lui il Signore dell’esistenza personale e collettiva dell’umanità. La teologia della storia, nella visione di Agostino, è in senso forte teologia della storia della salvezza: l’irruzione dell’“éschaton” nel tempo degli uomini, l’offerta gratuita e liberante della Grazia, che è donata nel Signore Gesù, è l’oggettiva pienezza, il decisivo compimento, rispetto al quale devono porsi la soggettiva apertura del cuore, la decisione salvifica, la conversione che cambia la vita. Non è dunque il semplice progresso lineare verso il futuro ciò che caratterizza la teologia cristiana della storia: questo progresso potrebbe restare unicamente quantitativo e cadere nelle chiusure delle ideologie mondane. La crisi delle visioni totalizzanti della storia trova perciò nella concezione cristiana della salvezza un possibile sbocco redentivo: al senso che l’uomo si dà con la sua progettualità essa sostituisce il senso che Dio dà alla storia col Suo disegno salvifico. La caduta delle presunzioni ideologiche è riscattata dalla speranza fondata nella fede: la presa d’atto del proprio limite diviene per la creatura lo spazio aperto per il riconoscimento della Trascendenza, che sostiene e regge la storia, e, entrando in essa con la rivelazione, ne rende possibile una qualificazione salvifica mediante la decisione di fede. Le conseguenze di tutto questo sulla concezione e l’esercizio della libertà del soggetto storico sono rilevanti e facilmente intuibili: ne va di mezzo la libera scelta dell’essere umano di fronte all’offerta del Creatore, e ne viene evidenziato il rischio d’amore che il Dio vivente ha accettato di correre, creando la Sua creatura libera nel voler realizzare o meno con Lui un patto di alleanza, che sia frutto di autentico amore.

Arcivescovo di Chieti-Vasto