Chiesa

Il viaggio a Cuba. A Cuba e negli Usa un pastore disarmato costruttore di ponti

Stefania Falasca sabato 19 settembre 2015
Rileggere oggi, alla partenza di Francesco verso Cuba e Stati Uniti, quanto è di recente trapelato dai documenti confidenziali della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato per la preparazione del primo incontro tra il Papa e Obama avvenuto un anno e mezzo fa in Vaticano, è certamente indicativo, e non solo per comprendere i rapporti che Washington spera di consolidare con la Santa Sede il prossimo 24 settembre, giorno della visita al Congresso Usa. In quelle carte l’amministrazione statunitense, oltre a evidenziare alcuni temi in comune, rilevava un aspetto particolare: la pastoral conversion, la conversione pastorale definita come «marchio» del pontificato di Francesco. Una pastorale «che sta prendendo forma con modalità importanti», si faceva osservare. Considerando «la presa del Pontefice sulla scena globale», così si concludeva: «Ciò significa che le sue azioni pastorali avranno ampie implicazioni politiche». Una notazione puntuale, questa, perché la conversione pastorale suggerita da papa Francesco a tutta la compagine ecclesiale ha segnato anche uno scarto rispetto a prerogative geopolitiche. Affrancandosi dal modello di una Chiesa con preoccupazioni di protagonismo, come lobby d’influenza, condizionata dalle proprie aspirazioni di rilevanza pubblica, Francesco ha destrutturato e derubricato definitivamente anche l’automatismo che identificava la Chiesa cattolica come correlato religioso dell’Occidente a guida nord-atlantica. Ma proprio il lucido affrancamento di Francesco dalla conquista di spazi di potere e da linee strutturate di pensiero politico-teologico, ha favorito e favorisce la prontezza e la presa delle iniziative del Papa, che puntano sulla pazienza di favorire o di accompagnare i processi senza rivendicarne una supremazia, come nel caso presente dei riaperti rapporti tra Cuba e Stati Uniti. E paradossalmente vede adesso precisamente Francesco, primo Papa nella storia, varcare le porte del Congresso americano.Proprio quindi perché il Papa non persegue un suo disegno geo-strategico e non viaggia per affermare l’agenda di una leadership politica, le sue considerazioni e il suo magistero diventano interessanti e interpellanti anche politicamente per i poteri del mondo. I compiti e gli obiettivi della diplomazia pontificia sono stati del resto chiaramente espressi dal segretario di Stato Pietro Parolin fin dall’inizio del suo incarico: «Essi consistono nel costruire ponti, nel senso di promuovere il dialogo e il negoziato come mezzo di soluzione dei conflitti, diffondere la fraternità, lottare contro la povertà, edificare la pace. Non esistono altri interessi e strategie del Papa e dei suoi rappresentanti quando agiscono sulla scena internazionale». La prospettiva strettamente pastorale e la natura evangelica missionaria sono perciò matrice originaria e imprescindibile anche di questo viaggio: «Sono pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti» (Evangelii gaudium, 210).Il decimo viaggio di Francesco, che lega in tre tappe nord e sud del continente, si colloca tra un precedente itinerario in Sud America e uno prossimo in Africa, a poca distanza dall’inizio del Sinodo sulla famiglia e dall’apertura dell’Anno santo della misericordia. Le importanti coordinate temporali e circostanziali nelle quali questo viaggio apostolico si svolge esigono pertanto particolare attenzione. E offrono certamente occasione per far emergere la declinazione di quei criteri pratici di fondo nella valutazione delle questioni contingenti, comprese quelle ecclesiali, che papa Bergoglio ha esplicitato nella Evangelii gaudium: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è superiore all’idea, il tutto è superiore alla parte. Francesco arriva a Cuba in un momento particolare della storia, che vede l’avviarsi delle nuove relazioni diplomatiche tra L’Avana e Washington, con la necessità di migliorare i rapporti internazionali nel loro insieme oltre a tentare di superare definitivamente l’embargo imposto dagli Stati Uniti, e dove si attende un miglioramento nel processo di riforme interne insieme a un approfondimento delle relazioni Chiesa-Stato. Arriva alla Casa Bianca e al Congresso nel mezzo delle discussioni sulla questione dell’embargo a Cuba, del nucleare in Iran, del Medio Oriente e allo scoppio di una crisi epocale dei rifugiati. Parla all’assemblea generale dell’Onu nel corso della quale dovrà essere sancito il programma per lo sviluppo 2015-2030, e incontra infine le famiglie a Filadelfia, nucleo originario del suo viaggio. Tutto è collegato nell’orizzonte delle urgenti responsabilità verso la vita nella sua interezza e il progresso della società umana nella casa comune. È dunque più che prevedibile che nei suoi interventi Francesco s’incentri sulle tematiche e le priorità già ampiamente espresse nel suo lucido e variegato magistero sociale, a cominciare dalla Evangelii gaudium e dall’enclica Laudato si’. Dalla giustizia sociale, base per una duratura pace, ai conflitti armati spesso dettati dal traffico d’armi e di droga. Dalla lotta alla fame e alla povertà all’uso corretto delle risorse naturali, alla distribuzione delle ricchezze per un’economia inclusiva e sostenibile e non sottomessa alla finanza. Dalla libertà nella pluralità e non esclusione all’urgenza di accogliere i migranti, alla politica come servizio per il bene comune e all’impegno doveroso per la tutela dell’ambiente e per attuare «una cultura della cura». Se la forza del metodo del dialogo nella fedeltà a Cristo è l’unica arma in grado di spegnere i conflitti e aiutare a superare le differenze, avviare riconciliazioni e avvicinare per una sempre maggiore reciproca comprensione e solidarietà, la sua parola saprà essere liberante da schematismi e condizionamenti dettati da bellicosi antagonismi dialettici e polarizzazioni ideologiche, che hanno spesso contagiato anche il corpo ecclesiale.Il servizio alla persona e all’intera umanità reso con coraggio dal vescovo di Roma resta quello di "colui che getta ponti", "colui che unisce", secondo l’etimologia propria del suo titolo di Pontefice, pastore della Chiesa universale "che presiede nella carità". E così con la sola libertà dettata dall’amore Francesco arriva oggi a L’Avana a mani nude, quelle di un padre che non impone programmi e non è contro nessuno, guardando come sempre in faccia uno a uno, da Castro a Obama, dal primo dei vescovi all’ultimo dei senza tetto di Washington o dell’ex ghetto di Harlem, nella possibilità di rinascita e di pace promesse dal Vangelo.