«E ora ci mancano solo le Malvinas», scherza Juan. Il giorno dopo la
Noticia Monumental – l’elezione al soglio pontificio dell’argentino Jorge Bergoglio – Buenos Aires si è risvegliata euforica. E assonnata. Juan, 28 anni, ad esempio, non ha dormito più di un paio d’ore. «Come per le grandi sfide dei Mondiali», racconta. Già: c’è la stessa fibrillazione di quando la nazionale disputa la Coppa del Mondo nel quartiere Flores. Quello dove Papa Francesco è cresciuto. Qui c’è la chiesa di San José, dove l’allora sedicenne Jorge ebbe la prima chiamata. Era il 21 settembre 1953 e il giovane era entrato nell’edificio solo per una breve preghiera. L’incontro con un confessore straordinario, però, gli cambiò la vita. «Era Dio che mi aspettava», dirà in un’intervista, ormai cardinale.Sessant’anni dopo, quel ragazzo è diventato Pontefice. Il primo del Continente latinoamericano. Non è però un “latino” nel senso ortodosso del termine. E non solo per il cognome inequivocabilmente italiano. Il Papa “americano” proviene dalla nazione passe-partout tra Nuovo e Vecchio Mondo: l’Argentina, terra di immigrati, rimpianti, nostalgie. Frontiera tra universi, umanità e culture. Le navi affollate di gente e stracariche di sogni – come una di quelle su cui viaggiarono i nonni e il padre del nuovo Papa – portarono dall’Europa alle rive del Plata milioni di persone. Più di due solo dall’Italia, tra Otto e Novecento. Prima che la famiglia Bergoglio facesse il “grande balzo” dall’astigiano, nel 1929, già un milione di italiani si erano imbarcati. Un travaso umano e culturale. L’architettura lo dimostra con corporea evidenza. Non è stato, però, un semplice trasferimento. Chi descrive l’Argentina come un frammento di Europa incuneato in Latinoamerica semplifica una realtà complessa. Le crisi cicliche del Novecento hanno ricordato in modo brutale al Paese la sua indelebile appartenenza all’America del Sud, quella povera e instabile. L’ultimo drammatico evento è avvenuto meno di 12 anni fa, nel 2001. «Non dimenticherò mai le parole che ci disse in quel gennaio difficile l’arcivescovo», racconta Maria Magdalena, appena fuori dalla chiesa di San José, dove è venuta per ringraziare il Signore. «Ci esortò a non avere paura, e ci disse che lui sarebbe rimasto con noi. E così è stato. Ha fatto aprire mense, ha aiutato chiunque poteva». Sì, in quei mesi turbolenti, con tre presidenti in meno di dieci giorni, Buenos Aires scoprì la forza calma del suo pastore. Quel don Jorge che andava per le strade a dire parole di conforto ai senza tetto, a portare una minestra calda alle famiglie in difficoltà. E che non aveva paura di richiamare la classe dirigente e le sue «speculazioni scellerate» di fronte alle responsabilità. È stato un cardinale scomodo. «Ma lui preferiva definirsi un semplice sacerdote, che ama il suo popolo e lo protegge dai soprusi», racconta Josefina, 58 anni, operaia disoccupata, che mercoledì notte è rimasta fino a tardi a Flores approfittando del tepore del finale d’estate porteño. Al Plata, infatti, le stagioni sono invertite. Come molte altre cose: il Nord, ad esempio, è la parte più povera. Questa geografia speculare all’Europa, non semplice riflesso né imitazione ma “meticciato”, è stato l’humus in cui è cresciuto il Jorge Bergoglio uomo e pastore. «Lo so, lo so, dicono che cucina la pasta meglio degli italiani e parla piemontese, ma è argentino
cien po cien (cento per cento)», precisa Mario, con una punta di orgoglio. «Non solo: è un <+Di_cors_TesGB>floerño<+Di_TesGB> (abitante di Flores)», aggiunge per fugare ogni dubbio. «Veniva qui spesso a Messa, in privato, nelle sue passeggiate per la città».La nazionalista Argentina sembra rivendicare con un misto di entusiasmo e incredulità il “suo” Papa. «Però è anche un po’
tano (italiano, espressione tipica argentina per designare gli italiani) – sorride Raul –. Anzi, è molto di più: questo sarà un Papa dei due Mondi».