Mai Lampedusa avrebbe immaginato di potere
avere un Papa a casa. L’impossibile si è realizzato e nulla sarà più
uguale. «Non cambierà niente di esteriore, ma nelle coscienze e nei
cuori sì», sussurra il parroco di San Gerlando, don Stefano Nastasi,
ancora stordito dall’intensa giornata, vissuta fianco a fianco con papa
Bergoglio, dall’arrivo sull’isola al decollo dell’aereo. Emozionato
e sorridente, don Stefano ha guidato il Pontefice lungo la costa, a
bordo della motovedetta della Capitaneria. «Ha voluto sapere ogni cosa
dei luoghi dai quali transitavamo, cos’è quello, com’è accaduto questo.
Gli ho spiegato il significato della Porta d’Europa e lui ha
ascoltato tutto con molta attenzione», racconta don Stefano, che con la
sua lettera d’augurio all’inizio del ministero petrino di Bergoglio,
pubblicata sul sito di Migrantes, ha dato il via allo storico viaggio. Testimone di ogni attimo della visita anche l’arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro, che nel suo
saluto al Papa parla di Lampedusa come 'scoglio e faro', che
«purtroppo per molti è diventato tomba». Un «faro acceso per la
Chiesa intera, per l’Italia, per l’Europa – afferma Montenegro, che è
anche presidente della Commissione episcopale per le migrazioni
della Cei –. Su quest’isola rivivono le pagine del Libro dell’Esodo:
la schiavitù, il passaggio del mare, la traversata nel deserto, la
terra promessa, il sogno della libertà. Essa ricorda a tutti che ci sono
delle esigenze di giustizia, di dignità, che non possono essere
soppresse; quest’isola – ricorda
ancora l’arcivescovo – è lampada accesa perché non si pensi più in
termini di emergenza o di semplice accoglienza, ma a promuovere
politiche adeguate di giustizia e di rispetto di ogni vita umana ».
Archiviata l’emozione per la giornata storica, è il momento dei
bilanci e dei racconti. «Siamo riusciti a dire al Papa ciò che abbiamo
fatto per accogliere e ciò che non siamo
riusciti a fare, a riferirgli tante storie di dolore, ad ascoltare le
sue parole», dette «non per puntare il dito contro qualcuno, ma per
guardare dentro noi stessi, per trovare forza per il futuro e perdono
per il passato », ricorda don Stefano. «Gli ho detto 'lei è dono per
noi, e noi siamo dono per lei'. Il desiderio di papa Francesco era di
pregare con noi, con la nostra comunità, che in questi anni non ha
cercato di respingere la storia, ma di vivere la storia ». «Negli
ultimi decenni – continua il parroco – Lampedusa è stata
attraversata dalla storia e sicuramente tutto questo ha stravolto il
quotidiano della gente, a volte in modo violento, e questo bisogna
riconoscerlo». Il grazie di Papa Francesco a don Stefano è
arrivato in diretta nazionale. «Sulla nave mi ha raccontato quello che
hanno fatto lui e il viceparroco per i migranti – spiega ai fedeli
papa Francesco – per questo li ringrazio». E alla Caritas diocesana
e alla parrocchia di Lampedusa il Pontefice ha voluto donare un obolo
in segno di solidarietà per i poveri e i migranti. Don Stefano si è
commosso «all’attracco al molo Favarolo, ma anche prima a Cala Maluk.
Il calice è tratto dal pezzo di legno della barca naufragata la notte
dell’8 maggio 2011. E per noi ha un significato enorme. Bisogna fare
memoria del passato. Nella scena dell’incontro del Papa con i
migranti rivedevo le scene degli anni passati, di sacche di dolore
raccolte su quel molo. Ho rivisto con i miei occhi quello che successe
allora e il dolore di quel giorno ».
Immagini che rimarranno per sempre anche nella mente e nel cuore del
Pontefice. «Quando gli ho chiesto se fosse davvero soddisfatto, il
Papa mi ha assicurato di sì e mi ha detto di essere colpito dal calore
della gente», rivela monsignor Montenegro. «Alla Porta d’Europa e
anche davanti ai barconi ha detto: 'Ma quanta sofferenza'. Il suo è
stato veramente l’atteggiamento del pellegrino, venuto a rendere
omaggio alla sofferenza di chi è morto, ma per vivere».