Chiesa

IL DIARIO. Don Santoro: morire per Dio

Francesco Rossi De Gasperis martedì 2 febbraio 2010
Nell’autunno-inverno tra il 1980 e il 1981, durante i sei mesi (circa) trascorsi nella Terra del Santo e nei Paesi biblici limitrofi, don Andrea Santoro venne a trovare anche me, al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme. Desiderava parlare, tra i molti contatti che aveva programmato, del significato della lettura della terra della Bibbia e del suo popolo, oltre che della sua storia, per essere e diventare sempre più cristiano.Avvertii subito di non trovarmi di fronte a uno dei tanti pellegrini di Terra Santa. Veniva, non per vedere e visitare i «luoghi santi», ma per diventare maggiormente discepolo ed essere un prete santo per la Chiesa di Dio. Il 5 febbraio 1981 scriveva ai suoi genitori da Betania: «Domani mattina vado a Nazaret e mi fermo sei giorni. Ritornerò giù passando per Cesarea (lungo il mare), dove sono accaduti episodi importantissimi raccontati negli Atti degli apostoli, e da dove si imbarcò san Paolo (dopo una prigionia di due anni) per venire a Roma. Lui trovò Nerone ed ebbe la fortuna di morire per il Signore. Io troverò voi e tanti amici, ma spero di avere la stessa fortuna, grazia e coraggio di morire per il Signore. Ci sono molti modi per morire: l’importante è dire sì a quello che ti manda Dio».Trovare e accettare il proprio modo di morire per il Signore! Aveva letto attentamente la Parola e la storia sul loro terreno, in mezzo al popolo credente di Dio, vi era cresciuto dentro, ed era pronto a donarsi tutto, come un profeta, al modo di morire che Dio gli avrebbe riservato.Aveva cominciato nel settembre 1980 con un viaggio di venti giorni – al Sinai, in Galilea, in Giudea, a Gerusalemme –, con un gruppo di trenta persone, guidato da un domenicano, le frère Jacques Fontaine, il maestro della Parola sulla Terra («la Bible sur le terrain»), al quale in tanti dobbiamo una rinascita della nostra condizione di credenti, a partire da tutta la Parola letta su tutta la sua Terra. Parlammo molto di questo modo di aderire a tutto il «luogo santo», che è la Terra di Dio.Capii, in quel nostro incontro, che don Andrea era stanco di dottrina, di sistemi, di attività e programmi pastorali, tanto più intensi quanto meno sorretti e permeati dall’esperienza di una fede, che comprometta la carne del discepolo del Signore. Mi resi conto che la Parola, la storia e il Paese biblico stavano diventando la sua carne, analogamente a come il pane e il vino eucaristico diventano il corpo e il sangue di Gesù. Don Andrea si sentiva chiamato a consumarsi interamente nell’amore per il Regno di Dio, per il disegno della salvezza e la volontà del Padre, l’Abbà del Figlio e di noi tutti; per la persona di Gesù, il Messia d’Israele e delle nazioni; nell’amore per tutti gli uomini e tutte le donne dell’umanità, specialmente per gli ultimi, per gli «scarti». Per lui, nulla è stato troppo grande per essere abbracciato, ma tutto è stato capace di restringersi per farsi contenere dal più piccolo frammento, riconosciuto come volontà di Dio, adesso e qui. Egli è stato un lettore attentissimo di tutta la Bibbia, della Creazione del Principio, dei due Testamenti e dell’unica Alleanza – la prima che si trasfigura nella nuova –, dei Vangeli compresi come l’inizio del «compimento» di tutte le Scritture in vista dell’escatologia. Per lui, i personaggi dell’Antico Testamento erano viventi e ispiranti, come quelli del Nuovo. Impressionante la sua spontanea capacità di personalizzarsi e di immedesimarsi appassionatamente in tutti i versetti delle Scritture. Era il suo mondo, la sua carne, l’unico e ultimo punto di riferimento.Egli comprendeva bene che la fedeltà amorosa e paziente al primato di tutta la Parola e di tutta la storia di Dio nella storia degli uomini è la prevenzione più sicura contro ogni ideologia dell’«uomo di oggi» e contro ogni «teologia ideologica» del momento. Per questo, esporsi di persona, fino a morire, è stato per lui, tra l’altro, il modo più spontaneo di promuovere la giustizia,cioè la liberazione della creazione tra le ragazze che si vendevano a Trabzon.