Confratelli d'Italia. Don Pavoni, l'«impresa» per giovani e per poveri
Lodovico Tommaso Maria Giuseppe Pavoni, nato a Brescia l’11 settembre 1784, è battezzato il 13. Primo di 5 figli di una famiglia nobile, che tuttavia lo educa anche a dedicarsi agli altri. Carattere vivace e originale per i molti interessi: caccia, pesca, cavalcate nella tenuta di famiglia, ma spicca subito la volontà di diventare prete. La sua Prima Comunione è anticipata a 11 anni. Entra in Seminario e, ordinato il 21 febbraio 1807, fa catechismo ai poveri e il suo impegno intelligente e “prudentemente audace” fa sì che il vescovo, Gabrio Nava, lo voglia suo segretario particolare pur lasciandolo libero di continuare l’opera dell’Oratorio, e perciò lo vuole canonico del Duomo e rettore della Chiesa di San Barnaba: avrà il suo stipendio per i suoi ragazzi. Nel 1818 dà inizio all’“Istituto di beneficenza Collegio d’Arti”, per ragazzi poveri abbandonati, poi anche sordomuti. Per 30 anni è la sua “Impresa”, con metodo educativo di avanguardia: prevenzione, amore, cura e preparazione al lavoro. Inizia anche un’attività tipografica ed editoriale, ancor oggi incarnata nell’Editrice Àncora, che sarà prima in Italia a pubblicare la Storia di un’Anima dagli originali di Teresa di Lisieux. Lui fonda nel 1821 la prima “Scuola tipografica” d’Italia con 10 profili professionali. Leggi e lo scopri tra i primi, precorrendo i temi della Rerum Novarum, a esaltare la dignità del lavoro in vista di salario familiare minimo, assistenza sanitaria, giusta causa per ogni licenziamento, con preavviso e parte dei guadagni dell’impresa agli operai: argomenti di tante pagine anche oggi. Dei suoi discepoli si parla come “frati operai”, che lavorano alla pari anche come maestri delle diverse arti. Ovvio il malumore giunto fino a Roma e ai suoi vertici del tempo, che volevano dire anche “Sillabo” e Porta Pia. Nascono così i “Pavoniani”, Figli di Maria Immacolata, famiglia religiosa in cui sacerdoti e semplici laici lavorano senza privilegi di sorta, educando. Si spendono i suoi, in tempi difficili, ma si spende soprattutto lui. Non si risparmia mai, tanto meno nei giorni dell’epidemia di colera nell’estate del 1836, accogliendo gli orfani rimasti soli, gareggiando con la signorina Paola di Rosa, per 22 anni dedita all’assistenza e alla cura dei colerosi, fondando in seguito le Ancelle della Carità di Brescia, con il nome di suor Maria Crocifissa, poi canonizzata da Pio XII nel 1954. Nel 1847, dopo l’approvazione dell’Istituto da parte di Gregorio XVI, viene eretta canonicamente la Congregazione dei Figli di Maria Immacolata e Lodovico professa i voti religiosi accogliendo tra i suoi i primi 7 “fratelli”: 2 preti, 2 seminaristi e 3 laici. Arriva il ‘48 delle eroiche 10 Giornate di Brescia e lui, sotto i bombardamenti austriaci cerca di salvare tutti i ragazzi dividendoli in piccoli gruppi. Un incontro con loro a mezzanotte del 24 marzo 1849, sotto una pioggia battente verso la collina di Saiano chiamata “del Calvario” gli fu fatale: ormai gravissimo ricevette l’Unzione degli infermi e il Viatico, poi le ultime parole: «Alzate gli occhi al cielo. Abbiate spirito di fede e di carità». Era la Domenica delle Palme, e aveva solo 64 anni. La sua avventura si prolunga verso gli altari per oltre un secolo. Il 5 giugno 1947 segna l’introduzione della causa a Roma, dopo il processo diocesano, e il 14 aprile 2002 Lodovico Pavoni è dichiarato beato. Nel 2009 un miracolo attribuitogli in Brasile, riconosciuto come tale, apre il suo cammino verso la canonizzazione del 16 ottobre 2016, dichiarata solennemente da papa Francesco. E pensare che dopo quella tragica notte del 24 marzo 1849, alla morte del fondatore i suoi confratelli erano rimasti solo in 6. La sua memoria pareva destinata alla scomparsa, ma fu tenuta viva da piccoli gruppi tra Trentino e Lombardia, e oggi i fratelli Pavoniani si chiamano Figli di Maria Immacolata, detti anche “Artigianelli pavoniani”, e sono presenti anche in Spagna, Brasile, Messico, Colombia, Filippine, Eritrea e Burkina Faso, con sede centrale a Roma: “Confratelli d’Italia”, si! Ma anche del mondo.