La storia. Don Minzoni, al via la causa di beatificazione
Il cardinale Zuppi e l'arcivescovo Ghizzoni davanti alla statua dedicata a don Minzoni
Don Giovanni Minzoni, il parroco di Argenta, nel Ferrarese (ma diocesi di Ravenna-Cervia) ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923 potrebbe essere beatificato. Almeno questo è l’auspicio dei promotori la causa che si aprirà sabato 7 ottobre alle 20.45 con una celebrazione in Cattedrale a Ravenna. Si tratta della prima fase, diocesana, del “processo” i cui atti, se l’iter proseguirà, verrà trasferito in Vaticano presso il Dicastero delle cause dei santi. Formalmente l’avvio c’era stato in agosto, nel centenario della morte del sacerdote, con l’accettazione da parte dell’arcivescovo, monsignor Lorenzo Ghizzoni del “supplex libellus”, la richiesta dell’avvio dell’inchiesta da parte del postulatore, padre Gianni Festa, ma la celebrazione del 7 ottobre costituisce il via ecclesiale del procedimento, Nato a Ravenna nel 1885, il prete che in una biografia Alberto Comuzzi ha definito il “Matteotti cattolico”, fu medaglia d’argento al valore militare per il servizio di cappellano svolto durante la prima guerra mondiale e si impegnò costantemente nell’educazione dei giovani. Così appena arrivato ad Argenta, nel 1910 diede vita a un nuovo ricreatorio, istituì un doposcuola, diede avvio a una biblioteca e a un teatro parrocchiale. Parallelamente, siamo negli anni post Rerum Novarum (l’enciclica di Leone XIII pubblicata nel 1891), lavorò sulla coscienza sociale della Chiesa, chiedendo migliori condizioni lavorative per le classi meno abbienti e delle zone rurali e iscrivendosi nel Partito popolare di don Sturzo. Appena arrivato ad Argenta scriveva nel suo Diario: «Pensando al nostro clero, certo v’è poco da lusingarsi, che sappia corrispondere alla sua attuale missione. Giovani troppo spinti e indipendenti e quindi unità disgreganti; vecchi intransigenti pessimisti e quindi zavorra troppo pesante; sacerdoti interessati solo dell’oggi e della tavola, questi, mio Dio, sono gli alter Christus! Che devono rinnovare la società!». Proprio l’impegno sociale e civile, soprattutto al servizio dei giovani, insieme all’opposizione contro il fascismo gli valsero la condanna a morte da parte del regime. Aggredito da due squadroni fascisti morì a seguito delle ferite riportate il 23 agosto 1923.
Don Minzoni in una foto d'epoca - Foto Bedeschi
Nel giorno del 100° anniversario dell’omicidio, lo scorso agosto, a Ravenna l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi così ricordava don Minzoni: «Egli – disse – è morto per amore, perché per amore di Dio e del suo popolo ha affrontato il male, difeso il Vangelo e donato la vita, consapevole dei rischi. Posto di fronte alla stretta finale, rispose: “Sono pronto a morire”. Questa è la libertà del cristiano e del testimone, cioè del martire, che non è un eroe, ma una persona che ama più delle sue paure e che non teme di entrare in conflitto con le ideologie totalitarie e neopagane, evidenti o nascoste, con chi calpesta la persona, qualsiasi essa sia, ovunque e sempre. Il cristiano distingue il peccato dal peccatore e non combatte il secondo pensando così di contrastare il primo, ma ama il peccatore proprio perché solo amando combatte il peccato».
Il 7 ottobre durante la Veglia, presieduta dall’arcivescovo Ghizzoni in Cattedrale ci sarà il giuramento dei membri del tribunale incaricato di raccogliere le testimonianze sulla fama di santità e il martirio del sacerdote, del postulatore e del vicepostulatore. Al termine della celebrazione veglia verrà letto il testo inedito della preghiera composta per l’occasione. «L’auspicata beatificazione di don Minzoni non deve essere vista come un’onorificenza o un lustrino da inserire nel medagliere della santità della Chiesa locale - spiega il postulatore padre Gianni Festa - ma l’ennesima prova dell’azione dello Spirito Santo nella storia dell’umanità e nella vita della Chiesa. Ogni beato o santo canonizzato ci dice che il Signore non si dimentica dell’uomo. La vicenda e il martirio di don Minzoni ribadisce questa verità: fratelli e sorelle che continuano l’azione del Cristo sulla terra e lo fanno con tale amore e dedizione da rappresentare non solo un modello di vita ma anche un amico e amica a cui rivolgersi nella preghiera».