«L’icona biblica proposta dal Papa, quella di Mosè davanti al Roveto ardente, mi entusiasma: mostra l’immagine di un prete con un forte senso del trascendente, pronto a mettersi piedi nudi di fronte al sacro». Don Luciano Santini è il parroco di Pontassieve, poco distante da Firenze: tra i suoi parrocchiani ci sono anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi e la sua famiglia. Ha letto con attenzione le parole rivolte da papa Francesco all’assemblea della Cei: «Parole molto belle – dice – che vanno lette e rilette con calma. Peccato che molti giornali ne abbiano dato interpretazioni parziali, quasi nessuno ha capito l’essenziale». L’identikit di prete che emerge è bello, quanto molto impegnativo: «Sicuramente è vero che la vita del prete, oggi, è profondamente alternativa rispetto ai modelli sociali e culturali correnti, e dobbiamo essere attenti a custodire questa diversità». I richiami a uno stile di vita semplice ed essenziale, ma anche ad «alleggerire» le strutture pastorali, secondo don Luciano non sono una novità: «Ci sono già passaggi molto forti nella Evangelii gaudium, non c’è dubbio che questo è uno dei passaggi cruciali per la Chiesa italiana». Un passo che ha colpito don Luciano è quello che riguarda l’attitudine alla relazione, l’appartenenza alla comunità: un parroco però, aggiunge, deve stare attento anche al pericolo contrario, quello di restare chiuso nella propria cerchia ristretta di persone. «Mi è piaciuta molto – conclude don Luciano – anche la delicatezza del Papa nel parlare di preoccupazioni, illusioni, del rischio di cadere nel pessimismo: sono prete da 38 anni e so che queste cose esistono nella vita di un sacerdote. Il Papa ci ricorda che siamo vasi di creta, ma che abbiamo il compito di custodire e diffondere un grande tesoro».
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