Chiesa

Il gesto. Don Giovanni Rossi e il Vaticano II. «Nomi» nuovi nel cuore di Assisi

Riccardo Maccioni venerdì 23 luglio 2021

Quasi sempre il nome di una via è anche una lezione di storia. Sotto forma dell’omaggio a un grande protagonista della vita del territorio. O attraverso il richiamo a un episodio, un evento che ha cambiato il cammino di una comunità. Non stupisce allora che nella toponomastica di Assisi siano entrati il riferimento a un uomo e a una “rivoluzione” che hanno segnato in profondità la vita della Chiesa, tanto localmente che a livello universale. Mercoledì sera, alla presenza del vescovo Domenico Sorrentino e del sindaco Stefania Proietti la città ha dedicato una piazzetta al Concilio Vaticano II e un largo a don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana, storica associazione di apostolato cristiano che, recita il suo statuto, si propone di «portare il Vangelo agli uomini del nostro tempo» dialogando «con le varie componenti della cultura e della vita sociale, con particolare riferimento agli ambienti più lontani dalla fede». Per la doppia intitolazione – spiega don Tonio Dell’Olio presidente della Pro Civitate Christiana – «non c’è stato bisogno di cambiare la denominazione precedente. Da una riflessione è emerso che c’erano due spazi che, di fatto, non avevano un nome ed è sorto pressoché naturale intestarli al fondatore della realtà che si trova adiacente alle strade stesse e all’evento che ne ha caratterizzato la storia».

Cosa accomuna don Giovanni Rossi e il Concilio? Probabilmente lo stesso Vaticano II.
Per cominciare dal principio dobbiamo svelare che nel diario personale di don Rossi c’è un appunto in cui racconta d’essere stato convocato in Vaticano da papa Giovanni, che gli ha riferito riservatamente di aver pensato alla indizione di un Concilio e gli chiede parere e consiglio. Tra i due c’era un’antica amicizia che risaliva al tempo in cui don Giovanni era segretario del cardinale Ferrari a Milano e don Angelo Roncalli segretario di monsignor Giacomo Radini-Tedeschi, vescovo di Bergamo. Avviene così che papa Giovanni si rivolge a don Giovanni forse perché intravede nell’ispirazione della Pro Civitate Christiana qualche germe della realizzazione della Chiesa che sognava: consapevolezza del proprio ruolo da parte del laicato, la forza del dialogo con i lontani, la presenza nella cultura contemporanea… Negli anni che precedono il Concilio, nella Cittadella di Assisi si erano dati appuntamento almeno alcuni di quei movimenti biblico, ecumenico e liturgico che preparavano il cosiddetto “aggiornamento” conciliare. Questa era l’indirizzo fortemente impresso all’attività della Pro Civitate Christiana dal suo fondatore don Giovanni Rossi.

Don Giovanni Rossi ha offerto un importante contributo al decreto Apostolicam actuositatem.
In che modo la centralità dei laici ha trovato espressione nella Pro Civitate? Innanzitutto nella formazione dei laici. In anni in cui la lettura del testo biblico non era permessa a tutti, in Cittadella si tenevano corsi di teologia tenuti da docenti provenienti dalle Pontificie università romane. Poi si organizzavano i Corsi di studi e altri momenti formativi si tenevano nelle “Domus” che costituivano la dislocazione territoriale della Pro Civitate Christiana. La formazione era accompagnata da un forte radicamento in una spiritualità cristocentrica senza alcun cedimento a devozionalismi di sorta. Gesù d’altra parte non faceva parte della casta sacerdotale e ha proposto quella che papa Francesco spesso indica come “Chiesa in uscita” perché strade e piazze costituiscono almeno l’85% delle location di Gesù secondo i vangeli. Le poche pagine riservate al tempio e alle sinagoghe spesso sono segnate dal conflitto. Ebbene quel decreto conciliare indica proprio la famiglia, la quotidianità, le professioni, l’impegno socio-politico come specifico anche se non esclusivo - dei laici. Le attività promosse in Cittadella (casa editrice, Rocca rivista quindicinale, convegni, corsi di formazione, galleria d’arte…) e soprattutto le missioni popolari, incarnavano quell’esigenza.

Oggi, per citare don Rossi, come lavora la Pro Civitate al sogno di «fare di Cristo il cuore del mondo »?. Su quali basi si fonda la sua attualità?
Non sempre l’annuncio di Gesù Cristo avviene in maniera esplicita e diretta. Dal Nazareno abbiamo imparato la lezione dell’incarnazione che eleva la dignità umana a quella divina. Gran parte delle attività della Pro Civitate puntano a rivelare l’uomo a se stesso come Cristo ci ha insegnato a fare.

La piazzetta che avete appena intitolato è un invito, credo, a non disperdere il patrimonio conciliare. Quale eredità del Vaticano II la Chiesa italiana avviata sul cammino sinodale deve particolarmente valorizzare?

Dal 20 al 23 agosto il 79° Corso di studi cristiani avrà come tema e titolo “Sinodo, insieme per camminare insieme”. Sarà un percorso che vuole offrirsi come punto di confluenza di riflessioni e proposte che si vanno maturando da parte di associazioni, gruppi, movimenti che chiedono di essere ascoltati. La prima parte è dedicata al metodo perché questo snodo è vitale. Il Concilio è opera ancora incompiuta: il cammino sinodale in Italia rappresenta una sfida essenziale perché quello spirito diventi cammino ecclesiale.