Piacenza. Don Beotti, il parroco martire da domani è beato
Un'immagine significativa di don Beotti il parroco martire
A un anno dalla canonizzazione del vescovo Giovanni Battista Scalabrini, la diocesi di Piacenza-Bobbio ha la gioia di veder proclamato beato un suo sacerdote, don Giuseppe Beotti, ucciso a 32 anni dai soldati nazisti il 20 luglio 1944 a Sidolo di Bardi durante il grande rastrellamento.
Domani pomeriggio alle 15.30 il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, presiederà la Messa con il rito di beatificazione in Cattedrale (diretta streaming su Piacenzadiocesi.tv). Verrà proiettato un video, realizzato dal Servizio multimedia per la pastorale della diocesi, sulla vita del nuovo beato, di cui papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto che lo riconosce martire “in odium fidei”. L’iter era iniziato con la fase diocesana il 9 febbraio 2002 sotto la guida del postulatore monsignor Domenico Ponzini; nel 2014 era stata aperta la fase romana, seguita e portata a compimento dal postulatore monsignor Massimo Cassola.
La Cattedrale di Piacenza torna, dunque, ad accogliere una cerimonia di beatificazione, dopo quella del 26 maggio 2018 che riguardava un’altra martire, suor Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata uccisa in Somalia nel 2006. Una singolare consonanza con la parabola di don Giuseppe, pur in tempi e contesti diversi. Entrambi figli della campagna piacentina – lei nativa di Rezzanello, lui, classe 1912, era di Campremoldo di Gragnano – hanno condiviso fino in fondo, in un clima di violenza e pericolo, la sorte della gente che la Provvidenza aveva loro affidato, indirizzandoli su strade che non avevano scelto. Per suor Leonella, dopo una vita religiosa passata in Kenya, la Mogadiscio infuocata dalla guerra civile.
Per don Giuseppe Beotti, Sidolo, paesino sperduto dell’Appennino parmense (ma diocesi di Piacenza), che allora contava un centinaio di abitanti. Ne diventa parroco nel 1940, un bello stacco dalla vivacità pastorale dei primi quindici mesi di sacerdozio – era stato ordinato il 2 aprile 1938 – come curato a Borgonovo Val Tidone, in mezzo ai giovani. A Sidolo, invece, i giovani mancavano e questo era il suo grande cruccio. «Io rimango qui, certo non c’è quel che sognavo», scriveva, con grande sincerità, al vescovo Ersilio Menzani.
Una foto che ritrae il luogo dove fu ucciso don Beotti - Diocesi di Piacenza-Bobbio
Don Giuseppe risponde alla delusione attaccandosi alla preghiera, approfondisce il significato dell’essere prete in montagna. La guerra, che trasforma l’Appennino in crocevia di scontri e di fuggiaschi, diventa occasione di carità. La canonica di Sidolo, sistemata con l’aiuto dei parrocchiani, è aperta a tutti: partigiani, ebrei, soldati feriti. Quando la prudenza suggerisce di cercare rifugio altrove, lui decide di rimanere: «Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto». Pagherà col sangue il prezzo della sua scelta.
«È una grande testimonianza per il nostro tempo, e per noi sacerdoti, questo giovane che realizza la sua offerta in un contesto marginale e difficile da accogliere», commenta il vescovo Adriano Cevolotto. Le sue reliquie verranno consegnate ai moderatori delle 38 Comunità pastorali in cui è suddiviso il territorio diocesano, così che la sua memoria continui ad interrogare. Due, per il vescovo, i doni da invocare nella beatificazione: uno sguardo attento alla realtà, illuminato dalla sapienza del Vangelo, e un cuore ospitale. «In un tempo segnato dalla violenza e dalla logica della contrapposizione —riflette Cevolotto — don Giuseppe ha abbracciato il criterio evangelico, decidendo di stare al di sopra delle parti contrapposte, disarmato e perciò vulnerabile, portatore di un’istanza di prossimità e di aiuto a chiunque si presentasse nella necessità. Grazie a lui la sua canonica e quel paesetto di montagna si trasformarono in uno spazio umano di speranza». Un richiamo più che mai attuale, fa notare il vescovo, «un invito rivolto a tutti a non rimanere prigionieri delle nostre paure, che spesso possono indurci ad avere atteggiamenti di chiusura, ma credere nel miracolo dell’ospitalità».
L'urna che custodisce le spoglie del beato - Diocesi di Piacenza-Bobbio