Chiesa

La storia. I 101 anni di don Antonio Bottoglia, uno straordinario prete «normale»

Marco Birolini mercoledì 2 febbraio 2022

Don Antonio Bottoglia (a destra) con il vescovo di Mantova, Marco Busca

Ogni giorno don Antonio Bottoglia inforca la sua bici e va a celebrare la Messa nella chiesa di Santa Caterina, vicino al centro di Mantova. Guarda i suoi fedeli e pronuncia l’omelia a braccio, senza l’ausilio di nessuna traccia scritta. Una ordinaria vita da prete di provincia, si direbbe. Se non fosse che don Antonio il prossimo 8 aprile compirà la bellezza di 102 anni.

Nato a Castel Goffredo (paese dell’alto mantovano al confine con la provincia di Brescia) nel 1920 in una famiglia di contadini, divenuto parroco di Sant’Apollonia nel 1952, ha lasciato e continua a lasciare un segno indelebile sulla vita ecclesiale e sociale di Mantova – nel 2006 è stato nominato Cavaliere al merito della Repubblica italiana –, grazie a uno sguardo lucido e a una presenza di spirito che lo accompagnano nella sua missione fin da quando fu ordinato sacerdote dal vescovo Domenico Guido Menna (che resse la Chiesa di Mantova dal 1929 al 1954) ben 78 anni fa, nel pieno della seconda guerra mondiale.

La sua è una storia di impegno assiduo e quotidiano, sempre al fianco di chi ha bisogno. Senza concedersi pause, se si eccettuano le brevi visite alle case di vacanza ad Igea Marina sull’Adriatico, a Pelugo, in Val Rendena e a Sant’Antonio di Mavignola a Madonna di Campiglio, dove tante famiglie e giovani mantovani trascorrevano le ferie. Fin dal suo ingresso in parrocchia comprese la necessità di spendersi per i giovani senza molte prospettive della chiesa di Sant’Apollonia, collocata in uno dei quartieri più poveri della città di Mantova.

L’oratorio è stato il progetto che più l’ha impegnato, seguendo l’esempio illustre di don Giovanni Bosco. Senza però dimenticare le energie spese per gli scout, l’Azione cattolica e la «Mantovana», la squadra di calcio del quartiere che riuscì ad affermarsi a livello regionale. La sua passione per lo sport lo portò anche ad organizzare i tornei notturni, giocati nel campo dell’oratorio illuminato a giorno, cui partecipavano giocatori in arrivo da tutta la provincia.

Sua l’idea anche del gruppo dei “Giovani lavoratori”, che si organizzarono per gestire un bar molto frequentato nella zona. Tutte iniziative rese possibili grazie anche all’aiuto di laici formidabili e di sacerdoti vicari da lui coinvolti in queste imprese, e che nel periodo estivo si trasferivano a prestare servizio nei soggiorni parrocchiali al mare o in montagna.

Don Antonio però non si è fermato qui. Vedendo la difficoltà dei suoi ragazzi nel trovare lavoro, negli anni Sessanta ebbe l’intuizione di puntare sulla formazione professionale per dare loro un progetto di vita. Nacque così la scuola professionale, simile a quelle istituite da don Bosco. A Mantova c’era l’ex convento delle clarisse di Santa Paola, fondato dai Gonzaga e trasformato in caserma, poi in officina e quindi abbandonato.

Questo fu il luogo dove don Antonio realizzò il suo progetto, con anni e anni di impegno per reperire i fondi necessari al restauro del complesso e all’apertura dei laboratori di meccanica, elettricistica, informatica e cucina. Con il fiore all’occhiello della bottega di restauro che, dopo aver rinnovato quadri, statue e materiale liturgico delle chiese della diocesi, dal 2018 è diventata sede del corso in conservazione e restauro dei beni culturali a ciclo quinquennale, abilitante alla professione di restauratore.

Oggi la scuola professionale regionale “Istituti Santa Paola” (don Bottoglia è tuttora presidente) accoglie e forma circa cinquecento alunni ogni anno, che non hanno difficoltà a inserirsi nel mondo produttivo locale. Un orgoglio non solo per don Antonio, ma per tutta Mantova.